giovedì 20 ottobre 2016

QUANDO IL COMPITO A CASA FA PIU’ VITTIME DI UN’EPIDEMIA DI PESTE…

Cari amici,

non volevo affrontare il discorso, ma non so resistere. Da alcune settimane sta scoppiando la polemica, voluta e strumentalizzata da sedicenti siti web e accreditata a genitori di varie parti d’Italia, sull’eccessiva mole del compito che gli studenti hanno quotidianamente a casa. Addirittura – e la cosa sarebbe grave – anche il ministro (volutamente in minuscolo) all’Istruzione, Stefania Giannini, ha affermato che, grazie alla “buona” (ancora in minuscolo!) scuola, i ragazzi saranno meno gravati dall’onere di trascorrere i loro pomeriggi in casa, a studiare. Siamo in odore di referendum e tutto è concesso. Comunque sia, cerchiamo di essere seri: a cosa serve il compito? Certamente è una forma di responsabilizzazione del ragazzo, il quale sa di dover affrontare un dovere ineludibile; è un mezzo per imparare ad organizzarsi, a dettare dei tempi definiti entro i quali svolgere l’attività e, ancor di più, aiuta a ragionare, riflettere e rielaborare. Insomma, il compito a casa è necessario. Purtroppo, però, in un’epoca pessima come è la nostra, un valore educativo e, perché no, morale come il dovere scolastico è diventato un fatto secondario al bisogno delle famiglie di pensare in primis alle attività sportive e ricreative da far svolgere ai propri figli, poi all’assoluta impellenza di dedicare molto tempo agli svaghi. 




A noi andrebbe anche bene così, a patto che padri e madri non venissero più a lamentarsi dei brutti voti del loro ragazzo! Invece – e questo è meraviglioso – ogni giustificazione è valida purchè si metta in evidenza che è la scuola ad essere troppo esigente e che il povero studente non ce la fa a reggere un ritmo così tambureggiante. Per fortuna, al di là della propaganda messa in moto da questo governo (minuscolo!) di Marionette (maiuscolo!), siamo convinti che la maggior parte dei genitori sia ancora dell’idea per cui le priorità di un adolescente siano la formazione, lo studio e la crescita morale ed intellettuale. E’ ovvio che gli svaghi ed i momenti di libertà sono necessari! Nessuno lo mette in dubbio. Crediamo, però, che i professori non siano figli di un’erudizione vuota ed arida: anche loro sono persone, hanno problemi, scadenze, emozioni, momenti di difficoltà. E sanno benissimo calibrare l’obiettivo ed assegnare le giuste attività casalinghe ai loro studenti, senza privarli dei necessari spazi di vita. Se, poi, per una famiglia sono più importanti per l’avvenire del loro figliolo i risultati nel gioco del calcio o nella danza, beh, allora, alziamo le mani! Il timone della scuola italiana sta virando verso un iceberg che la distruggerà, questo è il punto. Quale soluzione, quindi? Più spazio ai buoni contenuti, al confronto costruttivo, alle lezioni libere da quegli stupidi vincoli burocratici, al modello socratico. 



Il celeberrimo affresco di Raffaello, la Scuola di Atene (Socrate si trova alla nostra sinistra, in piedi, vestito con una tunica verde)

Sì, il vero insegnamento è proprio quello, a nostro parere. Chi scrive è ancora oggi affezionato a certi professori piuttosto che ad altri, che non ricorda volentieri. Forse, o senza dubbio, ci sarà un motivo.



Ad maiora!

mercoledì 5 ottobre 2016

DALLA MITOLOGIA A “SEI UN MITO” DEGLI 883: COME CAMBIA IL SENSO DELLA PAROLA



Nel corso dei secoli, i miti hanno raccolto e tramandato la memoria collettiva di una cultura, di una civiltà.
Ma che cosa significa, esattamente, “mito”? Neanche a farlo apposta, o forse sì, la parola deriva dal greco “mythos”, che significa propriamente “parola” o “racconto”. I miti, perciò, sono narrazioni, racconti tradizionali inseriti nella memoria collettiva di un popolo e ripetuti per secoli dai poeti. Il mito ha un scopo: cercare di fornire una risposta ai grandi interrogativi che l’uomo pone a se stesso. Pensiamo, ad esempio, alla storia della creazione, grazie alla quale l’uomo risale all’origine della propria esistenza sulla terra; o al diluvio universale, che non è altro che un tentativo di spiegazione di un cataclisma realmente avvenuto in tempi remoti e che viene interpretato come punizione inflitta dalla divinità agli uomini, divenuti troppo superbi ed arroganti.
C’è un nesso fra mito e realtà storica? Forse sì, certamente sì! L’incredibile che spiega il credibile, la fantasia che dipinge la realtà, l’impossibile (o improbabile, forse?) che regge le nostre credenze, che dà risposta ai nostri dubbi, che rincuora, o tormenta, i nostri animi. Prendiamo, ad esempio, il mito delle Amazzoni, guerriere ferocissime che, secondo Erodoto, provenivano dalle steppe del fiume Don.



Esse destavano terrore negli uomini, disprezzavano il matrimonio e si riproducevano accoppiandosi con i loro prigionieri, che successivamente uccidevano. Come possiamo credere a simili storie? E, soprattutto, hanno un valore in qualche modo educativo per noi? Il celebre filosofo illuminista (metà del ‘700) Voltaire considerava il mito “una favola assurda”, mentre lo storico Vico (‘600/’700) lo riteneva uno “specchio della storia”. Originale è la teoria dello svizzero Bachofen (‘800), 



secondo cui la storia delle Amazzoni costituisce una chiara esistenza del matriarcato, ossia di una società guidata dalle donne, che schiacciano e dominano l’altro sesso. Tesi curiosa, che registriamo. Riprendendo la domanda che ci siamo posti sopra, ovvero quella di un eventuale collegamento fra mito e realtà, possiamo certamente affermare che la mitologia indica un preciso modello di comportamento, una fonte a cui abbeverarsi per recepire insegnamenti, valori ed ammonimenti sui quali impostare la vita di oggi.
Noi, spesso, utilizziamo la parola “mito” per esaltare una persona, attraverso il linguaggio dell’iperbole: “Sei un mito!”, “Mitico!”, “Parlare con lui è come essere davanti ad un mito vivente”, ecc. Nel nostro lessico, quindi, la parola non ha più il significato delle origini, ma tende ad enfatizzare, esaltare e celebrare persone, comportamenti ed azioni per evidenziarne la portata. Oppure, con una nota di ironia, si può dire che il buon Max degli 883, finalmente riuscito ad ottenere un appuntamento con la ragazza dei suoi sogni, ricami la storia di quella serata come fosse davanti ad un oracolo, ad un’icona, ad un simbolo. Un mito, appunto.



Ad maiora!