mercoledì 5 ottobre 2016

DALLA MITOLOGIA A “SEI UN MITO” DEGLI 883: COME CAMBIA IL SENSO DELLA PAROLA



Nel corso dei secoli, i miti hanno raccolto e tramandato la memoria collettiva di una cultura, di una civiltà.
Ma che cosa significa, esattamente, “mito”? Neanche a farlo apposta, o forse sì, la parola deriva dal greco “mythos”, che significa propriamente “parola” o “racconto”. I miti, perciò, sono narrazioni, racconti tradizionali inseriti nella memoria collettiva di un popolo e ripetuti per secoli dai poeti. Il mito ha un scopo: cercare di fornire una risposta ai grandi interrogativi che l’uomo pone a se stesso. Pensiamo, ad esempio, alla storia della creazione, grazie alla quale l’uomo risale all’origine della propria esistenza sulla terra; o al diluvio universale, che non è altro che un tentativo di spiegazione di un cataclisma realmente avvenuto in tempi remoti e che viene interpretato come punizione inflitta dalla divinità agli uomini, divenuti troppo superbi ed arroganti.
C’è un nesso fra mito e realtà storica? Forse sì, certamente sì! L’incredibile che spiega il credibile, la fantasia che dipinge la realtà, l’impossibile (o improbabile, forse?) che regge le nostre credenze, che dà risposta ai nostri dubbi, che rincuora, o tormenta, i nostri animi. Prendiamo, ad esempio, il mito delle Amazzoni, guerriere ferocissime che, secondo Erodoto, provenivano dalle steppe del fiume Don.



Esse destavano terrore negli uomini, disprezzavano il matrimonio e si riproducevano accoppiandosi con i loro prigionieri, che successivamente uccidevano. Come possiamo credere a simili storie? E, soprattutto, hanno un valore in qualche modo educativo per noi? Il celebre filosofo illuminista (metà del ‘700) Voltaire considerava il mito “una favola assurda”, mentre lo storico Vico (‘600/’700) lo riteneva uno “specchio della storia”. Originale è la teoria dello svizzero Bachofen (‘800), 



secondo cui la storia delle Amazzoni costituisce una chiara esistenza del matriarcato, ossia di una società guidata dalle donne, che schiacciano e dominano l’altro sesso. Tesi curiosa, che registriamo. Riprendendo la domanda che ci siamo posti sopra, ovvero quella di un eventuale collegamento fra mito e realtà, possiamo certamente affermare che la mitologia indica un preciso modello di comportamento, una fonte a cui abbeverarsi per recepire insegnamenti, valori ed ammonimenti sui quali impostare la vita di oggi.
Noi, spesso, utilizziamo la parola “mito” per esaltare una persona, attraverso il linguaggio dell’iperbole: “Sei un mito!”, “Mitico!”, “Parlare con lui è come essere davanti ad un mito vivente”, ecc. Nel nostro lessico, quindi, la parola non ha più il significato delle origini, ma tende ad enfatizzare, esaltare e celebrare persone, comportamenti ed azioni per evidenziarne la portata. Oppure, con una nota di ironia, si può dire che il buon Max degli 883, finalmente riuscito ad ottenere un appuntamento con la ragazza dei suoi sogni, ricami la storia di quella serata come fosse davanti ad un oracolo, ad un’icona, ad un simbolo. Un mito, appunto.



Ad maiora!

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