Cari lettori,
pochi
giorni fa, passeggiando per le campagne alfonsinesi nella zona dell'Ortazzo
(oggi Passetto), ho rivisto Casa Monti. Capirai... Quante volte mi è capitato!
Ma, non so perchè, il vagare ramingo per i campi, riflettendo e respirando
l'aria "antica", mi ha fatto venire voglia di affrontare una delle
polemiche più aspre della nostra storia letteraria, vale a dire quella fra i sostenitori
del mondo classico (tra cui anche il nostro Vincenzo Monti) e gli assertori del
rinnovamento, dell'apertura alla, alle culture europee, ovvero i romantici.
Forse non molti conoscono l'essenza del problema, per cui partiremo dalle basi:
che cos'è il Romanticismo.
Il termine ha le
sue origini nell’Inghilterra del’600 nella quale l’aggettivo romantic
sta ad indicare qualcosa di fantastico
e di assurdo; dunque il termine
aveva valenza negativa, quasi spregiativa. Nel corso degli anni questa
definizione viene sfumando fino a scomparire per significare qualcosa di affascinante, suggestivo e nostalgico.
Il termine romanticismo è oggetto di
dispute e interpretazioni tanto è vero che Friedrich Schlegel, uno dei massimi
teorici del movimento, scrive scherzosamente al fratello:” Non ti posso mandare la mia interpretazione della parola romantico; essa è lunga
centoventicinque (125) pagine”. Infatti da allora ad oggi i critici hanno
elaborato ben 150 definizioni di Romanticismo.
In seguito si è convenuto di indicare con questo termine stati d’animo e
sensazioni indefinite, così cari a poeti come Leopardi, e nel contempo una
rottura con la tradizione (iniziata, come già detto, intorno al 1770, con il
movimento dello Sturm und Drang (Tempesta
e Assalto).
Quindi una corrente culturale che ha il suo bersaglio nella
corrente illuministica e nel classicismo;
ma la storia non sopporta le contraddizioni nette e schematiche. Come
sempre, ciò che di vitale è stato di un movimento passa come conquista ineliminabile nella cultura
che lo segue. Il concetto di libertà,
che è una scoperta tipicamente illuminista, viene assorbito e rivivificato fai
romantici; dunque esiste un’intima coerenza fra ‘700 ed ‘800. Scrive il massimo
critico italiano, Francesco De Sanctis:
” Che
cosa fu dunque il movimento del secolo decimonono, sbolliti i primi furori di
reazione? Fu lo stesso spirito del
secolo decimoottavo, che dallo stato istintivo e spontaneo passava nello stadio
della riflessione, e rettificava le posizioni, riduceva le esagerazioni,
acquistava il senso della misura e della realtà, creava la scienza della
rivoluzione. Fu lo spirito nuovo che giungeva alla coscienza di sé e prendeva
il suo posto nella storia. Chateaubriand, Lamartine, Victor Hugo, Lamennais,
Manzoni, Grossi, Pellico erano liberali non meno di Voltaire e Rousseau, di
Alfieri e Foscolo. Sono anch’essi figli del secolo decimo settimo e
decimoottavo, il loro programma è sempre la carta dell’Ottantanove, il credo è
sempre libertà, patria, uguaglianza,
diritti dell’uomo...Lo spirito nuovo accoglie in sé gli elementi vecchi, ma
trasformandoli, assimilandoli a sé, e in quel lavoro trasforma anche se stesso,
si realizza ancor più. Questo è il senso del grande movimento uscito dalla
reazione del secolo decimonono, di una reazione mutata subito in conciliazione.
La base teorica di questa conciliazione è un nuovo concetto della verità,
rappresentata non come un assoluto immobile a priori, ma come un divenire
ideale, cioè a dire secondo le leggi dell’intelligenza e dello spirito”.
Il Romanticismo
infine è la rivalutazione degli ideali religiosi contro il deismo e l’ateismo
degli illuministi, rivendicazione del sentimento contro, o meglio, accanto alla
ragione: espressione della
“restaurazione” post rivoluzionaria e, insieme, derivazione diretta, nei suoi
appelli all’umanitarismo, alla libertà ed all’uguaglianza, della Rivoluzione
francese.
Ad maiora!