venerdì 10 febbraio 2017

Materiale per la 2BSU: Mirandolina e gli uomini



Carlo GOLDONI
La locandiera


La locandiera è una commedia in tre atti di Carlo Goldoni, composta nel 1751, al termine della collaborazione tra il commediografo e il teatro Sant’Angelo, e messa in scena all’apertura della stagione di carnevale 1752-1753. La trama verte attorno al personaggio della locandiera Mirandolina, che, aiutata dal cameriere Fabrizio, si trova a doversi difendere dalle proposte amorose dei clienti dell’albergo da loro gestito nei pressi di Firenze. Al centro delle vicende c’è sempre la vigile e smaliziata intelligenza di Mirandolina, che sa far prosperare la sua attività commerciale e mettere in scacco l’altezzoso cavaliere di Ripafratta, uno dei suoi pretendenti. 
Nel primo atto Mirandolina, una giovane ed affascinante locandiera abituata a ricevere attenzioni e lusinghe dai clienti, viene corteggiata da due ospiti: il Marchese di Forlipopoli, un nobile decaduto, e il Conte di Albafiorita, un mercante arricchito che ha comprato il titolo nobiliare grazie ai suoi commerci. Anche nel corteggiamento i due si comportano in modo conforme al proprio ruolo sociale: il Marchese è convinto che basti il prestigio del suo titolo per conquistare l’amore di Mirandolina, mentre il Conte crede di poterla comprare per mezzo di regali e doni. Arriva però alla locanda un terzo ospite, il Cavaliere di Ripafratta, burbero e misogino, che si prende gioco perché insistono a dimostrare interesse per una donna (per giunta popolana), mentre egli, preferendo di gran lunga la libertà del celibato, non si abbasserebbe mai  tale condizione. Mirandolina, offesa e stimolata dal comportamento del Cavaliere, spiega in un monologo voler di minare le sue convinzioni, facendolo innamorare di lei.
Il secondo atto vede quindi Mirandolina mettere in atto i suoi propositi. Mirandolina, nell’accomiatarsi dal cavaliere, finge di piangere e, ad un certo punto, sviene di fronte a lui. Il Cavaliere cade nel tranello della protagonista, innamorandosi di lei.
Nel terzo atto acquista visibilità il cameriere Fabrizio, cui il padre di Mirandolina, in punto di morte, ha affidato la figlia. Il Cavaliere dona a Mirandolina una preziosa boccetta d’oro ma la donna rifiuta, ignorando pure la successiva dichiarazione d’amore dell’uomo. Il Marchese smaschera la passione del Cavaliere che, in un ultimo disperato assalto, provoca la reazione di gelosia di Fabrizio, che, innamorato di Mirandolina, la difende. Il Cavaliere, ormai preda di quella passione amorosa che aveva sempre sfuggito, è a tal punto furente da far scoppiare una lite col Conte, che rischia di degenerare in un duello. Mirandolina, ormai soddisfatta per aver realizzato il suo piano, interviene annunciando che sposerà il cameriere Fabrizio: il Cavaliere non può che abbandonare la locanda su tutte le furie, mentre il Marchese e il Conte sono invitati a trovare un altro alloggio e a desistere dai loro propositi. Nel monologo finale, Mirandolina mette in guardia il pubblico dalle abilità di una donna e dalle sue lusinghe.

Analisi e commento
La locandiera è una delle opere di Goldoni che hanno goduto di maggior fortuna critica e di pubblico e una di quelle che meglio riassume le caratteristiche del teatro goldoniano. Si nota innanzitutto la riuscita caratterizzazione dei personaggi che, in maniera opposta a quanto succede con le “maschere” fisse della Commedia dell’arte, sono definiti ciascuno in modo individuale e peculiare. A svettare su tutti è ovviamente la figura di Mirandolina: intelligente e determinata, bella e consapevole di sé, la “locandiera” ha come primo interesse il profitto della sua attività e quindi sa sia disimpegnarsi con stile dalle mediocri tentativi di seduzione del Conte e del Marchese e sia tener testa all’orgoglio borioso del Cavaliere, facendolo infine capitolare. Attraverso di lei, Goldoni da un lato stabilisce un dialogo diretto con il suo pubblico e dall’altro pone in rilievo l’arma con cui Mirandolina trionfa, ovvero l’intelligenza.
La conclusione della commedia è nel segno dell’ordine: Mirandolina, pur vincente, ammette d’aver esagerato e rientra nei ranghi con il matrimonio con Fabrizio, come le era stato consigliato dal padre morente. Questo del resto è in linea con la finalità etica che, con un pizzico d’ironia, Goldoni indica nella prefazione intitolata L’autore a chi legge: la storia de La locandiera deve mettere in guardia gli uomini dalle illusioni e dagli amari tranelli che le donne sanno, con somma astuzia, architettare.

giovedì 9 febbraio 2017

APERITIVO ETIMOLOGICO

Torna, dopo un po', la nostra rubrica. Ci è venuto in mente di trattare il tema della morte (sic!), non per portare jella, ma perchè siamo stati ispirati dal film "Il settimo sigillo", di Ingmar Bergman, uscito nel 1958 e da noi visto per la prima volta al Liceo, ormai 19 anni or sono.
Vediamo, quindi, come i Padri latini vedevano e pensavano il momento conclusivo della loro esistenza.

Pallida mors aequo pulsat pede pauperum tabernas regumque turres = La pallida morte batte con lo stesso piede alle capanne dei poveri ed alle torri dei re (Orazio, Odi, I, 4, 13-4).
    
Questa variazione poetica sul tema della morte che non opera distinzioni di classe sociale è interessante soprattutto per le due metafore impiegate, quella del volto pallido e quella del bussare. In quasi tutte le culture europee la morte viene presentata come una figura spettrale che viene a raccogliere le sue vittime presentandosi alla loro porta, ad indicare che non esiste alcun luogo in cui rifugiarsi per poterle sfuggire. Bella la definizione di pallida mors, uno splendido esempio di ipallage, ovvero di spostamento di aggettivo da un temine all’altro: infatti pallido è chi muore, non la morte.

Acta est fabula = La commedia è finita (dal linguaggio teatrale).

Sono le parole con le quali, al termine della commedia, l’attore si congedava dal pubblico chiedendone nel contempo l’applauso. Stando alla tradizione, l’imperatore Augusto, in punto di morte, avrebbe pronunciato questa frase e, paragonando la propria vita a quella di un attore, avrebbe chiesto a parenti ed amici di applaudirlo se avessero gradito la rappresentazione. Bisogna comunque considerare che il teatro è una delle metafore più usate per indicare il corso della vita umana insieme a quella della nave.

Abire ad plures = Andarsene fra i più (Petronio, Satyricon, 42, 5).


E’ una locuzione molto famosa atta ad indicare che i defunti sono assai più numerosi dei vivi perché comprendono tutte le generazioni dell’umanità, mentre sulla terra ne vive solamente uno alla volta. L’espressione è presente anche nel nostro dialetto (andè fra i piò tânt).

Riproponiamo la scena della partita a scacchi tra la Morte e il cavaliere, tratta dal film "Il settimo sigillo".



Ad maiora!