Poiché non periva per
destino o per debita morte,
ma sventurata prima
dell’ora, arsa da subitanea follia.
Proserpina non aveva
ancora strappato dal capo
Il biondo capello, né
assegnato la vita all’Orco stigio.
Questi versi, tratti dall’Eneide
(IV, 696-699) ci fanno riflettere su un motivo piuttosto diffuso nelle culture
antiche e collegato ad una credenza magica: il “capello strappato”.
Proviamo a capire meglio e a
riflettere sul fatto che i capelli (beato chi li ha tutti, folti e belli…
Pensiero personale) non siano soltanto un elemento di corredo del nostro capo,
ma abbiano un valore antropologico, esistenziale, quasi mistico. Partiamo da
Apollodoro, scrittore greco di miti, che narra un famoso episodio a proposito
di Niso, re di Megara, e di sua figlia Scilla (III, 15, 8):
Minosse, che aveva il dominio del mare, armò una flotta contro Atene,
conquistò Megara dove regnava Niso, figlio di Pandione, e uccise Megareo,
figlio di Ippomene, che era venuto da Onchesto in aiuto di Niso. Ma anche Niso
morì, tradito da sua figlia. Egli aveva infatti, in mezzo alla testa, un
capello rosso, e un oracolo diceva che, se questo capello fosse stato
strappato, sarebbe morto. Allora, sua figlia Scilla, che si era innamorata di
Minosse, glielo strappò. Minosse, però, quando conquistò Megara, appese la
fanciulla per i piedi alla prora di una nave e la fece morire annegata.
Secondo una versione del mito ben
attestata a Roma, Scilla fu tramutata in cyris
– un uccello acquatico, probabilmente una specie di airone – e Niso in aquila
marina. A questa trasformazione fa riferimento anche Virgilio nelle Georgiche
(I, 404-409):
Appare in alto nel
limpido cielo Niso
e Scilla paga la pena
per il purpureo capello;
dovunque ella fuggendo
solchi l’etere lieve,
ecco, atroce nemico,
con grande stridore la insegue
Niso per l’aria; e
dove Niso s’innalza,
ella fuggendo rapida
s’invola nel lieve etere.
Il tratto rilevante di questo
racconto, ovvero la mortalità di Niso legata alla durata del capello rosso,
ritorna a proposito del meno famoso Pterelao, figlio del fondatore della città
di Tafo, contro i cui abitanti, i Teleboi, era andato a combattere Anfitrione,
lo sposo di Alcmena, celebre per essere stato sostituito nel letto nuziale da
Zeus (che mattacchione!) che ne aveva preso le sembianze. (Apollodoro, II, 4,
7).
Ma il motivo del “capello
strappato” non è peculiare solo della letteratura greca e latina. Anche la
sorte di Sansone, famoso personaggio biblico, è legata ai capelli. Così era
stato annunciato a sua madre, che era sterile e aveva pregato Dio di farle
concepire un figlio:
Ecco, tu sei sterile e
non hai avuto figli, ma
concepirai e
partorirai un figlio, sulla cui testa non
passerà rasoio, perché
il bambino sarà un nazireo
consacrato a Dio fin
dal seno materno; egli comincerà
a liberare Israele
dalle mani dei Filistei. (Giudici 13, 3-5).
E così avvenne: nacque Sansone e, una volta cresciuto,
cominciò a fare strage di Filistei.
La sua forza venne meno quando,
innamoratosi di Dalila, fu tradito dalla giovane che, mandata dai Filistei,
sedusse Sansone, lo fece poi addormentare sulle sue ginocchia e gli fece radere
da un uomo le sette trecce del capo. Il
Giudice biblico, allora, cominciò ad infiacchirsi e la sua forza si ritirò da
lui.
Ma torniamo al mondo classico e
concentriamoci su Didone, la regina di Cartagine. Virgilio instaura un rapporto diretto fra il crinis (capello) e il fatum (destino/sorte) della donna, come
se la “porzione di vita” assegnata alla persona fosse legata al momento in cui
il fatale capello viene reciso.
Infatti, il capello è la vita di Didone: è il
luogo in cui la sua esistenza si condensa, una delle sedi privilegiate in cui
si colloca l’anima di una persona. Anche il colore del capello di Didone (che
Virgilio definisce “flavus”, biondo) non è un elemento privo di importanza:
abbiamo visto che, nella leggenda di Scilla e Niso, il capello di quest’ultimo
è rosso. Ciò che conta, evidentemente, è che questo capello “consacrato” abbia
un colore diverso da quello degli altri perché è “magico”: è un luogo della
vita, secondo la concezione per cui esiste un’anima che è fuori dalla persona o
in una parte “accessoria” della persona stessa.
Perciò, in buona sostanza, state attenti quando vi
pettinate!
Ad maiora!