lunedì 9 settembre 2019

COME STAI, CARA SCUOLA?


Ormai ci siamo, la scuola sta per riaprire i battenti ai ragazzi e a tutto il carrozzone che ne consegue. Gli insegnanti, tuttavia, sono già impegnati nelle consuete attività propedeutiche all’avvio dell’anno scolastico.
Come le buone tradizioni, anche in questi giorni tornano alla ribalta discorsi già usurati al solo pensiero: meno classi cosiddette “pollaio”, stipendi più alti per i docenti, più costituzione, più ambiente, etc. Siamo impegnati in numerose riunioni di carattere burocratico, spesso imposte da un farraginoso sistema ministeriale, necessarie (?) al buon funzionamento delle cose. C’è tanto precariato, generato dalle promesse – mai mantenute – dei nostri governanti; a volte manca una vera preparazione digitale nel corpo docente e su questo ha ragione Milena Gabanelli. Non si può innovare e rinnovare quando molti insegnanti non sono in grado di adoperare un normalissimo programma di excel. Spendiamo molto tempo nella redazione del P.T.O.F., del P.O.N., del C.L.I.L. … No, cari amici, non sto impazzendo! La nomenclatura scolastica è un ginepraio irto di spine. 




L’opinione pubblica ci denigra, ci calpesta: noi siamo quelli che lavorano solamente la mattina, che godono di tre mesi di ferie, che possono completare la loro giornata con numerose altre attività, sia piacevoli che doverose, perché, tanto, hanno tempo da vendere. Noi non ce l’abbiamo con le persone, che spesso non pensano, ma con la politica: è inutile continuare, ad ogni cambio di governo, a pronunciare sempre gli stessi proclami quando, alla fine, tutto cambia affinchè non cambi nulla!
Buon inizio di scuola a tutti con un augurio: speriamo che finisca la retorica e che, finalmente, qualcosa si muova. Non demonizziamo i metodi del passato, l’impostazione rigorosa che oggi, da molti, è vista come retrograda e superata; cerchiamo di coniugarla con le innovazioni, le nuove spinte di metodo. Non è impoverendo la scuola di contenuti, arricchendola conseguentemente di europeizzazione didattica, che si risolve il problema; al contrario dobbiamo riscoprire la grandezza della nostra tradizione e – qui c’è la sfida – modellarla con le forme del nuovo che avanza. Solo così, a nostro parere, si uscirà dal pantano.

Ad maiora!