Cari lettori, oggi pubblichiamo la prima parte
dell’intervento da noi tenuto in occasione della bella iniziativa
poetico-letteraria “Trebbo a Villanova”, tenutasi lo scorso 15 aprile. Si è
disquisito di Grande Guerra, di Pasolini e, naturalmente di Stecchetti, di cui
ci siamo indegnamente occupati!
Parlare di Olindo Guerrini, in Parnaso Lorenzo Stecchetti,
può essere rischioso se ci si riduce soltanto alla produzione in vernacolo,
ovvero ai Sonetti Romagnoli. In realtà il poeta di Sant’Alberto subisce molto
abbondantemente l’influenza di Giosuè Carducci, all’epoca docente di Eloquenza
presso l’Università di Bologna.
Guerrini, laureatosi in Legge, dimostra
tuttavia una certa propensione alle belle lettere, condite sempre da quella
verve polemica e disincantata che caratterizzerà tutta la sua produzione. Tra
il 1877 ed il 1897 escono Postuma (il cui successo editoriale è superiore a
quello delle celeberrime Odi Barbare del Carducci), Polemica (con oltre 50
riedizioni), Nuova Polemica e Argia Sbolenfi (titolo che fa riferimento ad una
zitella che confessa le sue privazioni erotiche; nell’opera ricorre
l’espressione “armiamoci e partite”, divenuta, poi, proverbiale), con cui il
poeta acquista fama di polemista e scrittore di versi osceni. I Sonetti,
invece, escono dopo la morte di Guerrini e precisamente nel 1920 grazie al
figlio Guido. Negli anni sotto le due Torri Stecchetti sviluppa la passione per
il giornalismo, fondando, tra gli altri, “Il Matto”, giornale patriottico ed
anticlericale.
Naturalmente la critica letteraria non è tenera, per usare un
eufemismo, con Guerrini, considerato poeta violento, sboccato, indegno,
accusato soprattutto dalla cultura ottocentesca, ancora legata al Romanticismo
e a Manzoni. Questo è il pensiero di tanti, tra i quali spicca Benedetto Croce.
Stecchetti non è nulla di ciò, ma è scrittore di grande
erudizione, eccellente latinista e capace di versi profondi, spesso ispirati al
Realismo, ad una forma ironica di Verismo e, naturalmente, ai sentimenti.
Per comprendere meglio la grandezza del poeta vogliamo
citarne alcune fonti, non riferendoci certo a rimatori di paese o a
saltimbanchi dell’ultima ora.
Così Catullo, il cantore dell’amore per Lesbia, scrive nel
suo epigramma:
“Odi et amo; quare id faciam, fortasse requiris:
nescio, sed fieri sentio et excrucior”.
Odio e amo; forse chiedi perché io faccia questo:
non lo so, ma sento che avviene e me ne addoloro.
Guerrini gli fa eco in questo modo (sonetto n. 77 di
Postuma):
“Io t’odio ancora, ma sei troppo bella,
io t’odio ancora e non ti so scordar…
T’odio, ma torna e non fuggirmi più.
E ancora vediamo un raffronto fra l’undicesima ode del primo
libro delle Odi di Orazio ed il sonetto n. 18 di Postuma:
“… Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero”.
Mentre parliamo fuggirà il tempo invidioso:carpe diem,
fidandoti il meno possibile del domani.
Guerrini:
“Io non voglio sapere quanto sei casta;
ci amammo veramente un’ora intera,
fummo felici quasi un giorno e basta!”.
Un altro grande maestro del Guerrini è Victor Hugo, faro del
Romanticismo francese, poeta che abbraccia tutto il XIX secolo e ne riflette
lotte, contrasti, speranze ed illusioni.
V. Hugo, Les Orientales et les feuilles d’automne:
“Enfant! Si j’étais roi, je donnerais l’empire
et mon char, et mon sceptre, et mon peuple à genoux”.
Fanciulla! Se io fossi re, ti donerei l’impero
E il mio cocchio trionfale, e il mio scettro, e il popolo
alle tue ginocchia.
Guerrini (sonetto n.43 di Postuma):
“S’io fossi ricco, d’oro e di gioielli
ti vorrei ricoprir da capo a piede:
se fossi papa, per quest’occhi belli
in Vatican rinnegherei la fede:
si fossi imperator del mondo intero,
sol per un bacio tuo darei l’impero:
s’io fossi Dio, con me ti condurrei
ed in ginocchio in ciel t’adorerei”.
Guerrini utilizza l’italiano anche per lanciarsi in
irriverenti parodie e per sprigionare il suo innato anticlericalismo
(sentimento, quest’ultimo, naturale in una terra, la Romagna, che per troppo
tempo subì i soprusi dello Stato pontificio).
Inferno, canto I
A mezzanotte un dì della mia vita
Mi ritrovai per una strada oscura
Piena di sassi e assai poco pulita.
Ahi quanto a camminar essa era dura
Questa strada selvaggia ed aspra e forte
Che a chi ha dei calli fa venir paura.
5 maggio, A. Manzoni
Ei fu. Siccome immobile
Un padre cappuccino
Guarda la goccia pendere
Dal naso al suo vicino
Così tranquilla e placida
La terra al nunzio sta.
…
E ripensò le splendide
Scene dei suoi piaceri
E il salto dei turaccioli
E il cozzo dei bicchieri
Lo sparecchiar sollecito
Il celere imbandir…
Commovente e drammatica allo stesso tempo è, infine,
l’immagine dell’Italia, tema caro al poeta, umiliata da quelli che ingrassano
comodamente e consolano le vedove mentre altri sacrificano la loro giovane
vita:
“… E ora? I vostri figli a mille a mille
Cadder lungi da voi
Perché un ladro impazzito e un imbecille
Si son creduti eroi…”.
Potremmo continuare ancora per molto, ma non vogliamo
tediarvi oltre! La prossima settimana sarà pubblicata la seconda parte
dell’intervento, quella certamente più scanzonata e divertente, ma non priva di
toni profondi e gravi.
Ad maiora!