Nel corso dei secoli, i miti
hanno raccolto e tramandato la memoria collettiva di una cultura, di una
civiltà.
Ma che cosa significa,
esattamente, “mito”? Neanche a farlo apposta, o forse sì, la parola deriva dal
greco “mythos”, che significa propriamente “parola” o “racconto”. I miti,
perciò, sono narrazioni, racconti tradizionali inseriti nella memoria
collettiva di un popolo e ripetuti per secoli dai poeti. Il mito ha un scopo:
cercare di fornire una risposta ai grandi interrogativi che l’uomo pone a se
stesso. Pensiamo, ad esempio, alla storia della creazione, grazie alla quale l’uomo
risale all’origine della propria esistenza sulla terra; o al diluvio
universale, che non è altro che un tentativo di spiegazione di un cataclisma
realmente avvenuto in tempi remoti e che viene interpretato come punizione
inflitta dalla divinità agli uomini, divenuti troppo superbi ed arroganti.
C’è un nesso fra mito e realtà
storica? Forse sì, certamente sì! L’incredibile che spiega il credibile, la
fantasia che dipinge la realtà, l’impossibile (o improbabile, forse?) che regge
le nostre credenze, che dà risposta ai nostri dubbi, che rincuora, o tormenta,
i nostri animi. Prendiamo, ad esempio, il mito delle Amazzoni, guerriere
ferocissime che, secondo Erodoto, provenivano dalle steppe del fiume Don.
Esse
destavano terrore negli uomini, disprezzavano il matrimonio e si riproducevano
accoppiandosi con i loro prigionieri, che successivamente uccidevano. Come
possiamo credere a simili storie? E, soprattutto, hanno un valore in qualche
modo educativo per noi? Il celebre filosofo illuminista (metà del ‘700)
Voltaire considerava il mito “una favola assurda”, mentre lo storico Vico (‘600/’700)
lo riteneva uno “specchio della storia”. Originale è la teoria dello svizzero
Bachofen (‘800),
secondo cui la storia delle Amazzoni costituisce una chiara
esistenza del matriarcato, ossia di una società guidata dalle donne, che
schiacciano e dominano l’altro sesso. Tesi curiosa, che registriamo.
Riprendendo la domanda che ci siamo posti sopra, ovvero quella di un eventuale
collegamento fra mito e realtà, possiamo certamente affermare che la mitologia
indica un preciso modello di comportamento, una fonte a cui abbeverarsi per
recepire insegnamenti, valori ed ammonimenti sui quali impostare la vita di
oggi.
Noi, spesso, utilizziamo la
parola “mito” per esaltare una persona, attraverso il linguaggio dell’iperbole:
“Sei un mito!”, “Mitico!”, “Parlare con lui è come essere davanti ad un mito
vivente”, ecc. Nel nostro lessico, quindi, la parola non ha più il significato
delle origini, ma tende ad enfatizzare, esaltare e celebrare persone,
comportamenti ed azioni per evidenziarne la portata. Oppure, con una nota di
ironia, si può dire che il buon Max degli 883, finalmente riuscito ad ottenere
un appuntamento con la ragazza dei suoi sogni, ricami la storia di quella
serata come fosse davanti ad un oracolo, ad un’icona, ad un simbolo. Un mito,
appunto.
Ad maiora!