anagrammando la speranzosa domanda di Giulietta per il suo Romeo, oggi vogliamo parlarvi di Omero, il grande autore di Iliade ed Odissea. O, forse, solo possibile. C'è che sostiene, addirittura, che il poeta greco non sia nemmeno esistito! Vediamo di fare un po' di luce su questo misterioso padre dell'epica.
Che cosa intendiamo con
l’espressione “Questione omerica”? Quando pensiamo ad Iliade ed Odissea il
primo nome che ci viene in mente è quello di Omero, l’autore dei due poemi
epici. Tuttavia, da tempo, gli studiosi hanno dibattuto sull'esistenza del
poeta greco, mettendone in discussione lo stesso nome!
Secondo le due teorie
più accreditate, infatti, Omero potrebbe derivare dal verbo “omerèin”
(“incontrarsi”, con allusione alle feste in cui si ci ritrovava per recitare i
racconti epici) oppure dall'espressione “o mè oròn” (participio sostantivato
greco, traducibile con “colui che non vede”, “il cieco”, secondo la credenza
per cui Omero fosse, appunto, non vedente). Altri, infine, pensano al
significato di “ostaggio”. Ciò che sappiamo di certo è che il nome Omero non è
un soprannome, quindi l’ipotesi più verosimile è, o sarebbe, la prima che
abbiamo riportato. Tornando al problema della paternità dei poemi omerici, le
cui storie venivano raccontate dai reduci della guerra di Troia, nel tempo si
sono succedute diverse linee di pensiero.
Gli antichi Senone ed Ellanico
(III secolo a.C.) negano ad Omero l’Odissea e vengono chiamati i “Korìzontes”
(i separatori), mentre Aristarco di Samotracia attribuisce entrambi i poemi ad
Omero stesso.
In età moderna, le opinioni sono
più complesse e basate su studi filologici molto approfonditi. Francois
D’Aubignac, nel 1664, arriva addirittura a negare l’esistenza di Omero; Vico,
nel 1730, pensa invece a più poeti, scartando quindi un’unica figura. Wolf
(1795), l’inventore della critica analitica, sostiene che i poemi sono stati
redatti da una commissione di dotti su incarico di Pisistrato, il tiranno
ateniese del VI secolo a.C.
I neounitari, al contrario,
esaltano la coerenza complessiva delle due opere, mentre i comparativisti, nel
‘900, raffrontano i poemi omerici con gli scritti epici di altri popoli e
trovano, soprattutto nell’Odissea, materiale presente anche in fiabe e novelle
di terre non greche.
Ciò che di certo sappiamo, senza
ombra di dubbio, è che nel III – II secolo a.C. i filologi alessandrini, tra
cui Zenodoto di Efeso, Aristofane di Bisanzio ed Aristarco curano un’edizione
critica dei due poemi, li dividono in ventiquattro canti ciascuno
contrassegnando ogni canto con una delle ventiquattro lettere dell’alfabeto greco.
Al di là del mistero legato alla
paternità di Iliade ed Odissea, resta il primato assoluto del valore culturale
e morale dei poemi, figli di un’epoca vera, ma resi sublimi dal mito che li
rende immortali, oltre che fondamento della nostra cultura ed identità.
Ad maiora!