Cari amici, la scorsa volta abbiamo affrontato la poesia di
Saffo e gli aspetti relativi alla cultura del tiaso, vale a dire il circolo
ellenico nel quale la poetessa di Ereso insegnava alle giovani l’arte della
seduzione.
Oggi continuiamo il percorso all’interno dei poeti del
sentimento e del privato: avanti, Alceo!
Egli nasce a Mitilene in una famiglia aristocratica, ha due
fratelli con i quali si dedica all’impegno politico combattendo contro gli
Ateniesi per il possesso di Sigeo, ma senza successo (celebre la resa,
evidenziata dall’abbandono dell’Oplon, ovvero lo scudo, simbolo di resistenza e
valore). Arrivato al potere Mirsilo, Alceo congiura contro di lui ma, il
fallimento dell’iniziativa, lo porta ad un primo esilio a Pirra. Alla morte del
tiranno, il poeta esulta:
fr. 332 Voigt
Ora bisogna ubriacarsi,
e che ciascuno beva anche per forza:
perchè Mirsilo è morto.
Alceo muore anziano, come dimostra un suo frammento, tradotto da S. Quasimodo:
Sul mio capo che molto ha sofferto
e sul petto canuto
sparga qualcuno la mirra.
Le odi di Alceo sono state raccolte dagli Alessandrini (grammatici e filologi vissuti ad Alessandria d’Egitto fra il III ed il II secolo a.C.) in almeno 10 libri, divisi per genere: nel primo volume gli inni agli dèi, negli altri i canti di lotta, i canti conviviali, i canti d’amore.
Al centro della
lirica di Alceo c’è il vino: attenzione, esca dalle nostre menti l’idea che il
poeta avesse la tessera ad honorem degli alcolisti anonimi!!! E allora cosa
rappresenta per lui il nettare degli dèi? E’ lo strumento per esaltare la
personalità e per verificare la coesione dei singoli, “svelando il compagno al
compagno”. Bere non per infrangere la disciplina, ma per provarne la solidità.
Alceo ed i suoi compagni, fra cui l’amico Pittaco, trascorrono il tempo fra il
cibo con cui ora si accendono contro il tiranno Mirsilo, ora placano l’odio
verso di lui oppure ogni altro cruccio. Il vino, proibito alle donne, favorisce
la solidarietà e l’intimità ed ha valore supremo, divino, spiegato dalla
metamorfosi, magica per i Greci, dell’uva nella bevanda inebriante.
Fr. 347 Voigt
Inonda di vino i polmoni,
infatti la canicola compie il suo giro e la stagione è opprimente,
ogni cosa è assetata sotto la vampa del sole,
la cicala risuona dolce dalle fronde e il cardo fiorisce.
Ora le donne sono impure quanto mai, e gli uomini emaciati,
Sirio dissecca la testa e le ginocchia.
Il vino è concepito dal poeta come specchio dell’uomo e sono vari i motivi che lo inducono a bere: l’ora del tempo, la dolce o aspra stagione, la visione dello Stato in rovina, il sentimento dell’umana condizione. L’ebbrezza, quindi, come farmaco della vita e come strumento di equilibrio esistenziale.
Chi volesse approfondire il tema del vino nella letteratura, greca e non, se ne avesse voglia potrebbe leggere i seguenti saggi:
Oinos : il vino nella letteratura greca / Luca Della
Bianca, Simone Beta
Roma : Carocci, 2002, 108 p.
Roma : Carocci, 2002, 108 p.
Il calamaio di Dioniso : il vino nella letteratura
italiana moderna / Pietro Gibellini
Milano : Garzanti, 2001, 184 p.
Milano : Garzanti, 2001, 184 p.
Alla prossima con l’ultimo lirico, Anacreonte.
Ad maiora!