giovedì 2 gennaio 2020

La morte di Seneca



Cari lettori,

perdonatemi se non do spazio alle parole da un po' di tempo, ma la dura vita dell'insegnante (lungi da me qualunque tipo di ironia nel dirlo) mi divora le ore.

Ad ogni modo, con la promessa di esservi fedele (quasi) sempre, ho il piacere di riportare la traduzione di un passo dello scrittore latino Tacito, vissuto in epoca imperiale, inerente la morte del grande filosofo Seneca.

Perchè, qualcuno dirà? Beh, perchè penso che la storia di Seneca sia paradigmatica e possa insegnarci qualcosa.

Buona lettura e... Ad maiora!


(62) Quello impavido chiede le tavolette del testamento; ma poiché il centurione lo negava, egli, voltatosi verso gli amici, dal momento che gli veniva proibito di ringraziarli per i loro meriti, diceva di lasciare in eredità la sola cosa che aveva, per quanto bellissima, l’esempio della propria vita, di cui se fossero stati memori, avrebbero portato come premio per una amicizia tanto costante, la gloria delle buone arti. Nello stesso momento trattiene le loro lacrime, ora con il discorso, ora più forte, alla maniera di uno che guida alla fermezza, chiedendo continuamente dove si trovassero gli insegnamenti della sapienza, dove il comportamento meditato per tanti anni contro le minacce incombenti. A chi infatti era stata ignota la crudeltà di Nerone? E dopo l’uccisione della madre e del fratello non gli restava altro che aggiungere la morte dell’educatore e del precettore.


(63) Come disse queste e altre cose come rivolto a tutti, abbraccia la moglie, ed essendosi un po’ intenerito contro la presente forza d’animo, chiede e prega di dominare il dolore e di non addossarselo in eterno, ma di sopportare il desiderio del marito con conforti onesti all'interno della contemplazione di una vita vissuta per mezzo della virtù. Quella al contrario afferma con certezza che la morte era destinata anche a lei e chiede la mano del boia. Allora Seneca, non rifiutandole la gloria, sia per amore, sia per non lasciare esposta alle offese la donna amata in maniera unica da lui, disse: “Io ti avevo mostrato i sollievi della vita, tu preferisci l’onore della morte: non mi opporrò a questo gesto esemplare. Sia pure pari per entrambi la fermezza di questa morte tanto coraggiosa, ma c’è più fama nella tua fine.” Dopo queste cose con lo stesso colpo si taglia le braccia con il ferro. Seneca, poiché il corpo vecchio e indebolito dalla scarsa alimentazione offriva una lenta uscita al sangue, tagliò anche le vene delle gambe e delle ginocchia; stanco per i crudeli tormenti, per non infrangere con il proprio dolore l’animo della moglie e non essere lui stesso preda dell’impazienza vedendo i tormenti di lei, la convince ad allontanarsi in un’altra stanza. E anche nell'ultimissimo istante, dal momento che c’era in lui abbastanza eloquenza, chiamati gli scrivani, dettò molte parole, che essendo state pubblicate con le sue parole, evito di parafrasare.



                                           La morte di Seneca, di Luca Giordano (1684)


(64) Ma Nerone, non essendoci nessun odio personale nei confronti di Paolina, e affinché non si accrescesse l’odio per la sua crudeltà, ordina che sia fermata la morte. Dal momento che i soldati li esortavano, i servi e i liberti bendano le braccia, tamponano il sangue a lei che non si sa se fosse ignara. Infatti, poiché il popolo è incline alle versioni peggiori, non mancarono quelli che credettero che, fintanto che temette che Nerone fosse implacabile, abbia cercato la gloria di una morte unita al marito, poi, essendole stata offerta una speranza più mite, sia stata vinta dai piaceri della vita; a questa lei aggiunse poi pochi anni, con una lodevole memoria verso il marito e con il volto e le membra bianche di un pallore tale da rivelare che molto spirito vitale le era stato sottratto. Intanto Seneca, persistendo il periodo di tempo e la lentezza della morte, prega Anneo Stazio, apprezzato da lungo tempo per la fedeltà dell’amicizia e per l’arte della medicina, di consegnargli il veleno predisposto da tempo, con cui venivano uccisi quelli che erano stati condannati da un pubblico giudizio degli ateniesi; e bevve invano il veleno che gli era stato consegnato, freddo negli arti ed essendo serrato il corpo alla potenza del veleno. Infine entrò in una vasca d’acqua calda, aspergendo i più vicini tra i servi, essendo stata aggiunta da lui l’affermazione che quel liquido fosse una libagione per Giove liberatore. Essendo finalmente portato in un bagno caldo ed essendo stato ucciso dal vapore di quello, viene cremato senza alcun funerale solenne. Così aveva precedentemente scritto nelle disposizioni testamentarie, quando, ancora molto ricco e potente, pensava alla sua fine.