di Fabio Pagani
Venerdì 27 dicembre, giorno di
scarico: sono appena passati Natale e Santo Stefano e occorre respirare. Già da
qualche settimana attendiamo la visita di due amici reggiani, di Boretto, per
la precisione; l’idea è quella di scoprire la città di Ravenna, per loro
inedita, con una guida d’eccezione. Il “Cicerone ravegnano” ha studiato il
programma, seppur con alcune variabili: in base a dove parcheggeremo
l’automobile, ci avvieremo a Palazzo Guiccioli (che, di fatto, non riusciremo a
visitare), oppure prima ai mosaici o, perché no, alla zona dantesca.
Partiamo proprio da quest’ultima: piazza San Francesco ospita l’omonima basilica dove, il 14 settembre 1321, vengono celebrati i funerali di Dante Alighieri. All’interno della chiesa, complice il fenomeno della subsidenza, si può apprezzare una cripta ribassata, oggi ricoperta d’acqua; è proprio sotto l’altare. Entrando, sulla sinistra, ci cade l’occhio sulla cappella della famiglia Da Polenta, che con il Sommo Poeta ebbe un legame speciale. Usciamo e, accompagnati da un bel sole ristoratore, calchiamo l’area adiacente il chiostro francescano. In questa porzione di terra, fra il 1944 e il 1945, furono nascoste (e salvate) le ossa di Dante, ma la loro storia parte da molto più lontano: dopo aver riposato nel sarcofago all’esterno di San Francesco, le spoglie del Poeta furono conservate dai frati dell’ordine del santo di Assisi, che le protessero dalle richieste, non proprio amichevoli, dei fiorentini (il papa, Leone X, era fiorentino e con lui si interessò della cosa perfino Michelangelo). La lungimiranza dei religiosi fece sì che, nel ‘500, quando i fiorentini aprirono il sarcofago non vi trovassero niente all’interno; i monaci, dal retro del chiostro, avevano praticato un buco nella tomba, prelevando le ossa di Dante e accudendole per oltre due secoli nel loro convento. La furbizia dei frati permise ai ravennati di tenersi ben stretto il loro figlio adottivo che, dopo essere stato nuovamente salvato dai francescani nell’800, quando nascosero le ossa, cercate dai francesi, nell’attiguo chiostro di Braccioforte, oggi riposa nel tempietto costruito dall’architetto Camillo Morigia.
Pio Feletti, muratore che ritrova le ossa di Dante (1865) |
A tal proposito, la penna irriverente di Olindo Guerrini scrive questi versi, fingendo che Dante, scontento dell’ultima dimora assegnatagli, se la prendesse con il suo ideatore: “Morigia? vera gloria romagnola, / che fu un patacca e mica un architetto / E pisciò sino sangue, poveretto, / Per fabricarmi questa pivirola”.
Tomba di Dante e quadrarco di Braccioforte |
I nostri amici rimangono colpiti
da questa storia e si compiacciono dei versi del Guerrini, che non conoscevano.
Prima di pranzo, facciamo una puntata nella zona romana e bizantina della
città. Entriamo nella basilica di San Vitale dove, secondo la leggenda, è
custodito un sacello in cui c’erano le spoglie del santo. Anche qui è ben
visibile il fenomeno della subsidenza, apprezzabile nella piccola piscina dove
i turisti gettano le monetine (a mo’ di Fontana di Trevi, per intenderci). Ai
lati dell’abside, il capolavoro: i pannelli musivi che raffigurano, a sinistra,
l’imperatore Giustiniano con il vescovo Massimiano, il generale Belisario – a
cui Giustiniano calpesta il piede, come a dire “Io sono più importante di te!”
– e l’esercito, mentre a destra troviamo la moglie Teodora insieme alla sua
corte. L’imperatore non giunse mai a Ravenna, perciò il mosaico che ne
raffigura la testa fu fatto a Bisanzio e poi portato in Italia per essere
installato sul corpo della figura. Il vero trionfo di colore, confermato anche
dai nostri amici, è a Galla Placidia, nel mausoleo che porta il nome
dell’imperatrice che, a cavallo della metà del 400 d.C., fece edificare questo
complesso nel quale avrebbe dovuto riposare dopo la sua morte. In realtà, non
sarà così: la figlia di Teodosio (il principe che rese il Cristianesimo religione
di Stato nell’Impero romano) muore a Roma e, con ogni probabilità, le sue
spoglie restano lì; i sarcofagi del mausoleo ravennate contengono i resti del
marito Costanzo III, del figlio Valentiniano III e del fratello Onorio. A parte
tutto, bellissimi i mosaici della volta, con il blu e l’oro che conferiscono
profondità e lucentezza.
Il bellissimo cielo di Galla Placidia |
Giustiniano e la corte a sinistra; in alto, Cristo Pantocrator e gli arcangeli |
La prode guida è stanca e, soprattutto, affamata, per cui tutta la truppa decide di fare una sosta in una nota piadineria del centro. Rifocillati a dovere, siamo pronti per visitare il Duomo: edificio costruito nel XVIII secolo, ma in stile Barocco, custodisce il “Sant Sassol” (il Sasso Santo, frammento di marmo verde), reliquia ravennate che, secondo la leggenda, era stata usata per percuotere Sant’Apollinare, patrono della città di Ravenna. Usciamo, percorriamo 100 metri ed entriamo nel Battistero Neoniano, edificato agli inizi del V secolo d.C. per affermare il culto cristiano. Restaurato al tempo del vescovo Neone, è impreziosito dal mosaico che decora la volta: la scena è quella del battesimo di Cristo, che occupa il medaglione centrale, mentre in quello esterno vi è il corteo dei dodici apostoli. Cristo, quindi, uomo e dio. Dettaglio importante, questo, che incuriosisce i nostri amici reggiani quando diciamo loro che, a pochi passi, troveremo un battistero molto simile, ma non uguale. È quello degli Ariani, voluto dal re Teodorico agli inizi del VI secolo per diffondere a Ravenna, allora occupata dagli Ostrogoti, il culto di Ario. Se nel cerchio centrale del mosaico c’è sempre Cristo mentre viene battezzato, in quello perimetrale gli apostoli convergono verso un trono sul quale vi è una croce su cui poggia un panno insanguinato. Cosa significa? Vuol dire che la dottrina ariana nega la consustanzialità di Dio e Cristo; in poche parole, Gesù non ha natura pienamente divina. L’Arianesimo era già stato dichiarato eretico dal concilio di Nicea (325 d.C.), ma oltre due secoli più tardi Teodorico cercò di radicarlo in Italia sia in questo battistero che nella vicina chiesa di Sant’Apollinare Nuovo: qui, oltre a 26 scene tratte dal Nuovo Testamento, si possono apprezzare le riproduzioni a mosaico del palazzo di Teodorico (i cui resti sono ancora visibili in città) e dell’antico porto di Classe, che fu voluto dall’imperatore Augusto nel primo secolo.
Battistero Neoniano |
Ormai stanchi e sul far della
sera, ci avviamo verso il parcheggio per riprendere l’auto e tornare a casa; i
nostri amici, provati ma contenti, ringraziano l’impavida guida che, fra una
storia e l’altra, ha cercato di raccontare Ravenna. Impresa impossibile, soprattutto
se fatta di corsa ed in poche ore, ma non per questo vana.