Cari amici,
oggi parliamo di un altro autore, non un poeta, ma uno
scrittore: Renato Serra. Come mai, forse vi chiederete, allora compare nell’antologia?
Il motivo è presto detto: Serra evoca benissimo il dolore e lo smarrimento di
fronte alla morte, una morte che deriva dalla tragedia della guerra, la Grande
Guerra, a cui egli partecipa. Inoltre, diversi lirici dell’area cesenate,
contenuti in “Vivi nella parola”, trattano criticamente la produzione del Serra
e, quindi, riteniamo utile parlarne.
Renato Serra nasce a Cesena nel 1884 e muore sul monte
Podgora, in Friuli, il 21 luglio 1915. Di famiglia benestante, si laurea in
Lettere presso l’Università di Bologna e ha nel Carducci il proprio modello
culturale di riferimento. Aderisce alle idee socialiste del tempo e, nonostante
la vita lo porti ad entrare all’accademia militare e a frequentare gli ambienti
fiorentini e romani, mantiene sempre forte il legame con la sua terra, la
Romagna, di cui ama approfondire anche gli autori minori. Serra, molto
sensibile al tema della guerra ed alla necessità di mistificarne il mito –
evidente, qui, il contrasto con D’Annunzio -, rifiuta l’idea per cui il
conflitto bellico sia necessario, spogliandolo di ogni abito morale ed etico.
Lo scrittore cesenate, decidendo di prendere parte alla
Grande Guerra, assume una posizione decisamente netta, declinandola attraverso
il ruolo della letteratura: quest’ultima, infatti, non è capace di esprimere il
senso di smarrimento dei giovani di fronte al dramma delle bombe, non sa
trovare nelle trincee un minimo motivo di giustificazione, non può celebrare
ciò che conduce milioni di uomini, giovani soprattutto, a morte certa.
Ne Esame di coscienza
di un letterato, scritto dal nostro nell’aprile 1915, Serra dipinge il
sacrificio della morte con colori grigi, freddi, in antitesi alle gloriose
celebrazioni che i letterati e gli intellettuali producono:
[…] la guerra non
cambia niente. Non migliora, non redime, non cancella; per sé sola. Non fa
miracoli. Non paga i debiti, non lava i peccati. In questo mondo, che non
conosce più la grazia. […]
[…] Vorremmo che quelli
che hanno faticato, sofferto, resistito per una causa che è sempre santa,
quando fa soffrire, uscissero dalla prova come quasi da un lavacro: più puri,
tutti. E quelli che muoiono, almeno quelli, che fossero ingranditi,
santificati; senza macchia e senza colpa. E poi no. Né il sacrificio né la
morte aggiungono nulla a una vita, a un’opera, a un’eredità. Il lavoro che uno
ha compiuto resta quello che era. […]
Ad maiora!
Nel nostro caso, appuntamento a
mercoledì 29 settembre, ore 21.00, presso il Cinema Gulliver di Alfonsine, per
la presentazione del libro.