Il capolavoro di Monicelli compie mezzo secolo
di Fabio Pagani
1975 – 2025: sono cinquant’anni
dall’uscita del primo atto della saga Amici miei, diretta dal maestro
Mario Monicelli. Molto più di un film, un vero e proprio marchio (pensiamo, ad
esempio, a quei termini entrati ormai nel nostro lessico: zingarata, supercazzola,
ecc.).
Il 1975 è un anno campale:
Fellini vince il premio Oscar per Amarcord, Eugenio Montale il Nobel
per la letteratura, Giorgio Armani fonda la propria casa di moda, Bill
Gates la Microsoft e Paolo Villaggio dà il via al suo Fantozzi.
Ma torniamo ad Amici miei: soltanto in apparenza può sembrare una commedia leggera, in realtà racconta la malinconia di una fetta di mondo di mezza età, quello maschile, che cerca negli scherzi e nelle zingarate un disperato appiglio alla vita. Monicelli narra la storia di cinque amici cinquantenni, il conte Raffaello Mascetti (Ugo Tognazzi), il giornalista Giorgio Perozzi (Philippe Noiret), l’architetto Rambaldo Melandri (Gastone Moschin), il barista Guido Necchi (Duilio Del Prete) ed il chirurgo Alfeo Sassaroli (Adolfo Celi), che sono accomunati dal medesimo desiderio di evasione, seppur provenienti da estrazioni sociali molto diverse.
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Da sinistra: Necchi, Melandri, Perozzi, Sassaroli, Mascetti (foto: Wikipedia) |
Le zingarate
sono, quindi, soltanto un modo per non pensare, per rinsaldare il senso di
amicizia e consolazione reciproca e per dimenticare l’andare del tempo;
memorabile, a questo proposito, la scena degli schiaffi ai passeggeri di un
treno in partenza, bischerata organizzata per consolare il Melandri,
succube di un ménage familiare da cui gli amici vogliono salvarlo. Ma c’è
dell’altro: i protagonisti sono i veri perdenti della storia perché sono autori
e vittime allo stesso tempo della loro immaturità, della continua ricerca del
gioco fine a se stesso. Non hanno obiettivi, se non quello di colpire la vita che
li opprime.
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Gli schiaffi ai passeggeri di un treno in partenza (foto: newdailycompass.com) |
Negli anni ’70 bisognava essere
qualcuno: era il decennio dell’impegno, della contestazione, del sangue che
scorreva violento. Ecco, quindi, che Amici miei rappresenta, vedendolo oggi,
una sorta di oasi, decontestualizzata rispetto al periodo, o forse no. Anzi, è
proprio grazie al periodo storico in cui galleggiano i nostri personaggi che si
apprezza l'angosciato tentativo dei cinque amici di mordere la leggerezza e di
rimanervi aggrappati a tutti i costi. Senza scopi particolari. Per loro,
quindi, non era necessario essere qualcuno.
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