di Fabio Pagani
Il riscatto dell’eroe. Storia
sociale del monumento di Lugo a Francesco Baracca. È questo il titolo del
contributo che l’autore, Giuseppe Masetti, direttore dell’Istituto storico
della Resistenza e dell’età contemporanea di Ravenna, ha pubblicato all’interno
del volume Sul piedistallo della storia. Monumenti e statue in Emilia Romagna
dall’Ottocento a oggi, curato da Sofia Nannini ed Elena Pirazzoli per Viella
editore; un tracciato della genesi di quello che è un vero riferimento per
tutti i cittadini lughesi, nessuno escluso, da sempre legatissimi al loro
aviatore. All'alba dei 90 anni che compirà il monumento nel 2026, ci sembra interessante riproporre la nostra intervista al curatore del saggio.
Dott. Masetti, perché il monumento a Baracca, costruito nel 1936 da
Domenico Rambelli, è da considerarsi un particolare caso di studio?
“Mi è stato chiesto di dedicare
attenzione all’effigie di Francesco Baracca sulla rivista inserita negli atti
annuali degli istituti storici e devo dire che le curiosità che ho avuto modo
di approfondire non sono state poche. Partiamo dicendo che, quello dedicato a
Baracca, è uno dei pochi monumenti ad
personam legati ai personaggi della Grande guerra, che ha prodotto in larga
parte sacrari a ricordo di militari generici. Nel 1936, a diciotto anni dalla
morte dell’Asso degli Assi, il regime fascista vuole dare una connotazione
propagandistica anche alla vicenda dell’aviatore lughese: è il cosiddetto
“Fascismo di pietra”, vale a dire un preciso indirizzo architettonico che tende
a sfruttare le occasioni celebrative della prima guerra mondiale, portandole ad
una mitizzazione del tutto finalizzata al consenso politico e ideologico”.
Mi viene da pensare che la sublimazione di figure come quella di
Baracca fosse già in embrione prima dell’avvento del Regime.
“Certamente. Gabriele D’Annunzio,
nel 1918, celebra con ardore l’uomo Francesco Baracca, ma è il Fascismo a costruire
un sistema vero e proprio: quando si decide, infatti, di finanziare il grande
monumento all’aviatore, Mussolini versa di tasca propria cinquecentomila lire
per l’opera, mentre Margherita Sarfatti, figura chiave nel percorso politico
del Duce, interviene personalmente per affidare la costruzione del monumento
stesso allo scultore Rambelli. A quel punto, la grande opera statuaria non
viene più intesa come celebrativa dell’uomo Francesco Baracca, ma come omaggio
all’aviazione militare italiana, che è quella, per citare un nome, di Italo
Balbo e che proprio quest’anno festeggia i cento anni di vita”.
Osservando il monumento, in effetti molti particolari richiamano
l’iconografia del Ventennio.
“La statua non presenta alcun
tratto distintivo dei piloti della Grande guerra: la tuta, per esempio, è
quella degli aviatori anni ’30 e l’eroe di Rambelli è molto distante dall’uniforme attillata, dalle pose studiate e dalle decorazioni che di solito ricoprivano il petto di Baracca. La grande ala, inoltre, non è quella dei biplani, vale a dire i
velivoli pilotati nel primo conflitto mondiale, ma ricalca gli aerei del terzo
decennio del secolo. Il Fascismo capisce che mitizzare Baracca come eroe
invitto e icona della Romagna è utile per celebrare la nuova aeronautica e il
sogno della velocità e dell’uomo – macchina”.
Caduto il Regime, c’è stato il reale rischio dell’abbattimento di
questa grande opera? E i lughesi come hanno vissuto il rapporto con il
monumento nei difficili anni della ricostruzione post – bellica?
“I cittadini di Lugo, nonostante
l’inaugurazione del 1936 fosse stata di portata nazionale, sono sempre rimasti
affezionati al Francesco di San Potito, vedendo in lui uno del popolo. Baracca
trasmette identità, senso di appartenenza alla comunità ed è sempre stato così,
anche all’indomani del 25 luglio 1943, giorno della caduta del Fascismo: ai
piedi della gradinata del monumento fu cancellato il cartiglio che riportava la
scritta “A. XIV E. F.” (Anno quattordicesimo Era Fascista) e questo può essere
considerato l’unico episodio di furia iconoclasta post – fascista. I monumenti,
oggi ancor di più, parlano a seconda di chi li guarda ed il loro valore cambia
nel tempo; anche se stiamo assistendo a diversi episodi prodotti dalla cancel
culture, intenzionata a cancellare la memoria di eventi e persone, l’amore dei
lughesi per il loro eroe sarà sempre profondo e libero da qualsiasi
estremismo”.
(C) Rivisitazione dell'articolo da me pubblicato sul numero de "Il Nuovo Diario Messaggero" del 22/06/2023

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