mercoledì 25 maggio 2016

Classici o Romantici? Da quale parte stiamo?

Cari lettori, 

pochi giorni fa, passeggiando per le campagne alfonsinesi nella zona dell'Ortazzo (oggi Passetto), ho rivisto Casa Monti. Capirai... Quante volte mi è capitato! Ma, non so perchè, il vagare ramingo per i campi, riflettendo e respirando l'aria "antica", mi ha fatto venire voglia di affrontare una delle polemiche più aspre della nostra storia letteraria, vale a dire quella fra i sostenitori del mondo classico (tra cui anche il nostro Vincenzo Monti) e gli assertori del rinnovamento, dell'apertura alla, alle culture europee, ovvero i romantici. Forse non molti conoscono l'essenza del problema, per cui partiremo dalle basi: che cos'è il Romanticismo.
Il termine ha le sue origini nell’Inghilterra del’600 nella quale l’aggettivo romantic sta ad indicare qualcosa di fantastico e di assurdo; dunque il termine aveva valenza negativa, quasi spregiativa. Nel corso degli anni questa definizione viene sfumando fino a scomparire per significare qualcosa di affascinante, suggestivo e nostalgico. Il termine romanticismo è oggetto di dispute e interpretazioni tanto è vero che Friedrich Schlegel, uno dei massimi teorici del movimento, scrive scherzosamente al fratello:” Non ti posso mandare la mia interpretazione della parola romantico; essa è lunga centoventicinque (125) pagine”. Infatti da allora ad oggi i critici hanno elaborato ben 150 definizioni di Romanticismo. In seguito si è convenuto di indicare con questo termine stati d’animo e sensazioni indefinite, così cari a poeti come Leopardi, e nel contempo una rottura con la tradizione (iniziata, come già detto, intorno al 1770, con il movimento dello Sturm und Drang (Tempesta e Assalto).



Quindi una corrente culturale che ha il suo bersaglio nella corrente illuministica e nel classicismo;  ma la storia non sopporta le contraddizioni nette e schematiche. Come sempre, ciò che di vitale è stato di un movimento passa come conquista ineliminabile nella cultura che lo segue. Il concetto di libertà, che è una scoperta tipicamente illuminista, viene assorbito e rivivificato fai romantici; dunque esiste un’intima coerenza fra ‘700 ed ‘800. Scrive il massimo critico italiano, Francesco De Sanctis:



Che cosa fu dunque il movimento del secolo decimonono, sbolliti i primi furori di reazione? Fu lo stesso spirito del secolo decimoottavo, che dallo stato istintivo e spontaneo passava nello stadio della riflessione, e rettificava le posizioni, riduceva le esagerazioni, acquistava il senso della misura e della realtà, creava la scienza della rivoluzione. Fu lo spirito nuovo che giungeva alla coscienza di sé e prendeva il suo posto nella storia. Chateaubriand, Lamartine, Victor Hugo, Lamennais, Manzoni, Grossi, Pellico erano liberali non meno di Voltaire e Rousseau, di Alfieri e Foscolo. Sono anch’essi figli del secolo decimo settimo e decimoottavo, il loro programma è sempre la carta dell’Ottantanove, il credo è sempre libertà, patria, uguaglianza, diritti dell’uomo...Lo spirito nuovo accoglie in sé gli elementi vecchi, ma trasformandoli, assimilandoli a sé, e in quel lavoro trasforma anche se stesso, si realizza ancor più. Questo è il senso del grande movimento uscito dalla reazione del secolo decimonono, di una reazione mutata subito in conciliazione. La base teorica di questa conciliazione è un nuovo concetto della verità, rappresentata non come un assoluto immobile a priori, ma come un divenire ideale, cioè a dire secondo le leggi dell’intelligenza e dello spirito”.

Il Romanticismo infine è la rivalutazione degli ideali religiosi contro il deismo e l’ateismo degli illuministi, rivendicazione del sentimento contro, o meglio, accanto alla ragione: espressione della “restaurazione” post rivoluzionaria e, insieme, derivazione diretta, nei suoi appelli all’umanitarismo, alla libertà ed all’uguaglianza, della Rivoluzione francese.

Ad maiora!

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