giovedì 9 giugno 2016

Vincenzo Monti, uomo e poeta (Prima parte)

Cari amici lettori,
la scorsa volta abbiamo introdotto il tema del rapporto fra Neoclassicismo, ovvero il movimento che, nel '700, tende a recuperare il mondo classico nell'arte e nelle lettere, e Romanticismo, vale a dire la ricerca di istinti, impulsi, emozioni e senso patriottico (almeno per quanto riguarda l'Italia).
Cerchiamo, in questa sede, di procedere per gradi e con ordine, partendo dal maggior esponente del movimento neoclassico, Vincenzo Monti. Per farlo, abbiamo pensato di proporre una bella intervista da noi fatta al Professor Luca Frassineti, docente presso la Seconda Università di Napoli, già amico della nostra cittadina, oltre che persona con la quale ci lega un profondo rapporto di stima ed affetto.
Nelle righe che leggerete verrà evidenziato il Monti pubblico e privato: dal rapporto col Foscolo, al problema del matrimonio della figlia Costanza. Per chi volesse approfondire il tema, consigliamo il volume:
- Primo supplemento all'epistolario di Vincenzo Monti, di Luca Frassineti, ed. Cisalpino, 2012.

VINCENZO MONTI, PADRE E MARITO



A colloquio con il Prof. Luca Frassineti sulla sfera privata del poeta dell’Ortazzo


Abbiamo il piacere di ospitare un riprovato amico nostro e delle Alfonsine, Luca Frassineti, ora docente di Letteratura Italiana presso la Seconda Università degli Studi di Napoli, con il quale desideriamo affrontare il tema dei rapporti familiari di Monti, dalla vicenda sentimentale della figlia ai rapporti con la moglie. 

Caro Luca, cosa puoi raccontarci sulla storia del mancato connubio tra la sensibile Costanza e il giovane intellettuale neo-greco Andreas Mustoxìdi, liaison di appena due anni antecedente l’effettivo matrimonio (giugno 1812) con il più attempato filologo pesarese Giulio Perticari? 
Si tratta davvero di un capitolo esemplare nell’eterna dialettica umana e sociale fra istanze del cuore (dei figli) e interessi materiali (dei genitori), ieri così come ancora oggi. Con l’aggravante che, ai primi dell’Ottocento, in un mondo condizionato dalla prevalenza del cosiddetto sesso forte, lo status di figlia doveva costituire di per sé una complicazione nell’orizzonte del consolidamento delle fortune domestiche. Alle donne era infatti interdetta non solo la carriera delle professioni ma anche la piena disponibilità patrimoniale, come rileva l’istituto stesso della dote (abolito peraltro in Italia nel 1975!), cioè del complesso dei beni che la moglie, o i parenti di essa, recavano al marito quale contributo agli oneri del matrimonio. In cambio, con le nozze, la famiglia della sposa puntava in genere a ricavare vantaggi indiretti, legando il proprio nome a quello di un clan più prestigioso e per censo e per quarti di nobiltà. Sicché la letteratura dei secoli XVIII e XIX o ad essi ispirata è intrisa di progetti tragicamente falliti a causa della scarsa reputazione maschile, come nel noto caso di Jacopo Ortis, amante rifiutato dal padre della “divina” Teresa, il nobile-decaduto “signor T***”, il quale all’appassionato ma modesto borghese, alter ego del Foscolo, preferisce il più insignificante ma aristocratico Odoardo, “uomo di senno, ricco e in aspettativa di una eredità ragguardevole” (Ultime lettere, 20 novembre 1797).




Ovvero, in prospettiva affatto capovolta, nella seconda metà dell’Ottocento ‘trionfano’ le nozze celebrate da famiglie arricchite, di femmine ora in goduta caccia di nuova legittimità collettiva, come per la popolaresca Angelica Sedàra (pensiamo alla ‘vistosa’ interpretazione di Claudia Cardinale nel memorabile film diretto da Luchino Visconti), accasata a un rampollo dell’antica schiatta spagnolesca dei Falconeri nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Passando dalla finzione romanzesca alla ricostruzione biografica, nelle loro debite proporzioni i due infelici capitoli della storia coniugale di Costanza Monti



ventenne potranno senz’altro essere riletti in chiave ‘ortisiana’. Il primo, presto chiuso per l’ostilità irriducibile della madre e l’imprevisto voltafaccia del padre, racconta del vagheggiato incontro con il compagno d’elezione, Andreas Mustoxìdi, esule dalla madrepatria, già allievo di Monti a Pavia, allora in disagiate condizioni economiche ma virtuoso, sincero e affine alla giovane per età (li dividevano appena sette anni), sensibilità e stato sociale. Il secondo, condotto in porto con la calcolata complicità di entrambi i genitori, narra degli sponsali benedetti con un partito vantaggioso soprattutto per la famiglia, attesa l’indifferenza della futura sposa verso l’uomo di cultura non più giovanissimo (Giulio Perticari 




era quasi coetaneo di Foscolo, che pure ebbe per Costanza attenzioni esclusivamente filiali) né
seducente (l’aneddotica attribuisce all’erudito pesarese l’alito fetido di un sepolcro), il quale dovette addirittura nascondere una relazione ancillare e un figlio naturale, Andrea Ranzi, potendo però vantare lo stemma di conte e di ricco proprietario terriero. Donde la decisione ultima di Costanza, come già per l’eroina dell’Ortis, di obbedire alla volontà paterna, non avendo dalla sua neppure la debole opposizione materna, come avviene invece all’amante di Jacopo nell’intreccio foscoliano. 

Hai rammentato l’influenza delle volontà di Monti e della Pikler nei confronti della figlia e del suo avvenire, nel quadro dei loro delicati equilibri familiari. Come si conciliano le figure del poeta e dell’uomo di lettere con quelle del padre di famiglia e del marito? 
La questione è assai delicata, poiché all’inizio Monti appare il vero sponsor dell’unione con Mustoxìdi,



di cui non ignora le difficoltà economiche (anzi!), a differenza della moglie, dotata di spirito assai più pratico e opportunistico, la quale si dichiara sin da subito ostile all’azzardo di un genero borghese, onesto e squattrinato tanto quanto favorevole all’idea futura dell’aristocratico blasonato, vissuto e danaroso. Se, come insegnano i sociologi, nella modernità risulta cruciale il ruolo delle donne nel costruire e negoziare alleanze matrimoniali, dobbiamo ammettere che, prima d’accogliere le riserve della Pikler, nel corso del 1810 il poeta si spinse davvero molto innanzi con le promesse e con gli atti, sino a indurre, ad esempio, l’ex-allievo a rinunciare all’intenzione di accasarsi con una nobile compatriota rifugiata a Venezia, previo il conseguimento di una cattedra universitaria con cui elevarsi socialmente e mantenersi in autonomia. Per questo, alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi maliziosa che l’apertura di credito e di affetto verso il giovane neo-greco sia potuta derivare dalla volontà più o meno cosciente di cattivarsi un aiuto grato, esperto (in quanto madrelingua) e discreto nell’opera di rifinitura dell’impresa della colossale versione dell’Iliade di Omero, i cui tomi vennero appunto stampati fra l’aprile 1810 e il febbraio dell’anno successivo (la rottura matrimoniale con Mustoxìdi dovrebbe risalire all’avanzata primavera del 1811). Fu davvero così cinico Monti da illudere e poi disingannare i sentimenti profondi dell’unica figlia e di un giovane amico, in funzione del mero tornaconto letterario (come si sa, il ‘traduttor dei traduttori’ era affatto digiuno di greco)? Affido la risposta alle parole che egli stesso scrisse a Mustoxìdi il 26 febbraio 1810, nella prima lettera della loro corrispondenza – riemersa alla luce solo di recente – ove ritengo si alluda copertamente alla proposta di matrimonio con Costanza, di cui il padre finge ad arte i titoli ed esalta le virtù. Giudichi il lettore se una simile retorica epistolare convenga più a quella di un impulsivo arcangelo annunciatore oppure a quella di un astuto demonio tentatore: “Una fanciulla di 18 anni, unica figlia, bella di volto e più bella di cuore perché dotato di gran carattere, e di più, colta, di spirito, di molta abilità nella musica, e non senza profitto negli studj del Disegno, e che scrive italiano e francese divinamente, questa fanciulla può darsi che sia vostra se la volete. Ella ha ricusato finora molti partiti e tutti plausibili, ma la tempra del suo cuore, di cui il padre l’ha fatta libera liberissima, il cuore non avendo trovato nei proposti partiti il suo conto, gli ha rigettati tutti fermissimamente, altri perché forniti di poco sentimento, altri di poca saviezza e costume, ed altri per altro motivo. Il padre è vostro amico, quanto il son io, e vi stima a segno che dassi a credere che voi solo (finora) sareste quello che potrebbe fissare e contentare l’eccessiva, e quasi ideale delicatezza di sua figlia, che pur vorrebbe veder felice al fianco d’un compagno che sapesse conoscerne il prezzo ed amarla quanto ella merita. La sua condizione è onesta, e recentemente nobilitata, la dote quanto basta per vivere commodamente senza bisogno di vendersi a verun impiego, e il padre vi riceverebbe a braccia aperte in propria casa in Milano per fare con esso voi una sola e beata famiglia. Potrei aggiungere moltr’altre cose, ma basta per ora. […] La giovine che vi propongo non sa che esistete, ma io ho tutta l’influenza su l’animo di suo padre, e posso mettere in campo questo proggetto senza timore di esito sfortunato. Vi abbraccio di cuore, e sono sempre il Vostro Monti”.

Ad maiora!

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