mercoledì 13 marzo 2019

I MITI FOSCOLIANI



Cari amici,
oggi parliamo "in pillole" di un poeta a cui siamo particolarmente affezionati. 
Buona lettura!

Il mondo poetico del Foscolo è caratterizzato da alcuni valori ricorrenti che chiamiamo illusioni o miti; immagini poetiche che, pur non avendo alcuna valenza razionale, sono però fondamentali per il poeta tanto da permettergli di consolare con essi un’esistenza segnata dal dolore e dalla sofferenza. Elenco i più importanti:
a) il mito del sepolcro, come nodo di affetti domestici e di solidarietà fra i vivi e i defunti; già nel sonetto al fratello Giovanni compare il sepolcro definito però pietra, quindi non ancora in grado di rispondere all’affetto materno (“ La Madre or sol, suo dì tardo traendo/ parla di me col tuo cenere muto”). Nei Sepolcri, invece, esso diventerà il tramite di una corrispondenza d’amorosi sensi.
b) il mito della bellezza rasserenatrice, che lo consola dalle amarezze del vivere e gli consente di scoprire l’armonia della vita e della natura. Nella contemplazione della bellezza “dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge”.
c) il mito dell’esilio, in cui acquistano significato e validità esemplari la passione politica del poeta e la partecipazione alle vicende contemporanee (è presente nel sonetto al fratello Giovanni e nel sonetto a Zacinto là dove il poeta stabilisce il parallelo fra sé ed Ulisse che, dopo lungo vagare, bacerà la sua petrosa Itaca (a differenza del Foscolo che ha la consapevolezza di morire lontano dalla sua patria).
d) il mito della poesia, la più alta e la più nobile delle illusioni che darà risposta eterna al bisogno del poeta di vivere oltre i confini del tempo. Infatti, quando tutto sarà stato spazzato via dalle fredde ali del tempo, rimarrà la poesia che vince di mille secoli il silenzio. E non a caso i Sepolcri chiudono con la figura di Omero che brancola, cieco, fra le tombe degli eroi della guerra di Troia che verranno eternati dal suo canto. Omero vive ancora fra noi per la sua altissima poesia che elude le leggi della morte, che tramanda i supremi ideali alla memoria perenne dei secoli.

Ad maiora!

mercoledì 6 marzo 2019

Petronio, raffinato cantore della cruda realtà


Cari amici,
continuiamo la nostra rassegna di classici, parlando di Petronio, intellettuale al (dis)servizio della corte di Nerone. 
Correva il I^ secolo d.C.
La vita. Il titolo di questo micro-saggio inquadra molto bene, a nostro parere, la figura di Gaio Petronio Nigro, la cui vita è magistralmente tratteggiata da Tacito nei suoi Annales (XVI, 18 – 19). Dopo essere stato proconsole in Bitinia, nel 60 d.C., e successivamente console, Petronio entra a far parte delle grazie dell’imperatore Nerone, che lo celebra come poeta raffinato, colto e certamente molto narcisista. Tant’è che tali caratteristiche gli valgono l’appellativo di arbiter elegantiarum. Nel 65, come accaduto anche a Seneca, Petronio viene accusato di aver partecipato alla congiura dei Pisoni e, quindi, è costretto alla morte, che però viene interpretata dal nostro come uno spettacolo, come l’ultima scena preparata da un grande attore, un Charlie Chaplin di “Luci della ribalta” ante litteram, tanto per citare un colosso del cinema del ‘900. Petronio si taglia le vene durante un banchetto, circondato da donne ed amici, con una teatralità senza precedenti.
Le opere. Di sicura attribuzione petroniana è il Satyricon, mentre sono molto incerte le raccolte e i frammenti di carmi di cui ci parla  l’Anthologia Latina.
Satyricon
Il titolo è una forma latinizzata del genitivo plurale greco Satyrikà, “Storie di satiri”, con riferimento al carattere erotico dell’opera. Di questo lavoro ci è giunto un lungo frammento narrativo in prosa con alcune parti in versi. La storia è narrata in prima persona dal protagonista, Encolpio, che, in viaggio con il suo capriccioso amante Gitone, viene in contrasto con il rivale Ascilto. L’ira del dio Priapo, però, sta per abbattersi su Encolpio, che viene privato della propria virilità. In una ignota località di campagna, i due amanti vengono invitati a cena da Trimalcione, uno schiavo divenuto libero, quindi un liberto. Il convivio, che costituisce la parte più importante e corposa del Satyricon, ovvero il libro XV, altro non è che una sterile quanto vacua ostentazione delle ricchezze e dei beni del rozzo Trimalcione. I due amanti riescono a liberarsi dall’impegno, ma la rivalità fra Encolpio ed Ascilto si acuisce a tal punto che Gitone viene sottratto all’antico amante. Encolpio, tormentato dal dolore, entra in una pinacoteca ed incontra Eumolpo, un poeta squattrinato che si sostituirà ad Ascilto nel ruolo del rivale. Dopo varie peripezie, il protagonista recupera il suo Gitone, ma non riuscirà a liberarsi di Eumolpo, che costituirà quindi il nuovo terzo incomodo nella coppia. I tre si imbarcano sulla nave di un mercante, ma l’imbarcazione naufraga nei pressi di Crotone; a questo punto Eumolpo finge di essere un anziano molto ricco, mentre Encolpio e Gitone i suoi servi. La farsa dura per un po’, fino a quando i Crotoniati non scoprono la verità; Eumolpo, allora, rende pubblico un testamento nel quale nomina erede chi accetterà di mangiare il suo corpo senza vita. Ma qui la narrazione si interrompe.
Il Satyricon è, sostanzialmente, un racconto di avventure, soprattutto erotiche, vissute da persone comuni. I critici non hanno esitato a definire l’opera un romanzo, anche se anticamente questo termine non era utilizzato ed al suo posto si ricorreva a parole come logos, fabula, argumentum, mithos. Chiaramente l’intento di Petronio è quello di parodiare il romanzo erotico greco e ciò lo vediamo dal tipico schema ricorrente che vede una coppia di innamorati che devono affrontare molte peripezie prima di ricongiungersi. L’amore, quindi, è visto come un fatto serio, in cui castità e morale giocano un ruolo di primo piano. Petronio, nella sua parodia, rovescia naturalmente i canoni: pudicizia e pudore non esistono, la morale è assente e la relazione amorosa è di natura omosessuale. A ciò si aggiunga la ricerca di un intreccio molto elaborato  e l’estensione dell’opera, elementi caratteristici del genere del romanzo moderno. E’ inoltre palese l’influsso della fabula Milesia, introdotta a Roma da Cornelio Sisenna  e consistente in brevi novelle condite da situazioni comiche e piccanti. Secondo alcuni critici, poi, il Satyricon avrebbe alcuni punti di contatto con la grande epica, sempre in chiave parodistica: l’ira di Poseidone che perseguita Odisseo o quella di Giunone verso Enea è sostituita da quella di Priapo nei confronti di Encolpio.
Stile e poetica. Ciò che ci consegna Petronio è un unicum nella storia, tutta, della letteratura latina; non esistono precedenti. Egli racconta la realtà come se fosse un labirinto, densa di imprevisti, ingannevole e dominata dalla corruzione del denaro e del sesso privo di morale. La genialità dei Petronio sta nel guardarsi bene dal fornire giudizi critici sui suoi personaggi, oppure dal porre regole etiche e comportamentali; egli si diverte a raccontare, in modo disincantato, le varie vicende dell’opera, lasciando al lettore la facoltà di formulare pareri. Per esprimere la scabrosità dei contenuti, Petronio ricorre, dal punto di vista linguistico, all’urbanitas, vale a dire alla lingua delle persone istruite, non dimenticando, però, il ricorso alle numerosi espressioni volgari: ciò si rende necessario per imitare il carattere dei personaggi, quindi per farli parlare come tutti noi ci aspetteremmo.
Il Satyricon, assai noto nell’antichità, scompare letteralmente dalle scene per molti secoli - è facile intuirne il motivo - . Viene riproposto attorno alla metà del XVII secolo, riscuotendo molto successo anche durante il ‘700. L’età moderna ha, quindi, ridato lustro all’opera, sicuramente mal conciliante con il clima rigido e bigotto dei secoli bui e con la riscoperta della grande cultura classica proposta dal Rinascimento. Non dimentichiamo, in chiusura, di menzionare il grande regista romagnolo, e riminese, Federico Fellini che, nel 1969, ha prodotto un film liberamente tratto dal Satyricon di Petronio. 

Ad maiora!