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mercoledì 1 marzo 2017

Aperitivo etimologico

Latinorum = latino (propriamente dei latini)
Si tratta del celebre strafalcione con cui Renzo risponde a don Abbondio che, non sapendo come giustificare la sua indisponibilità e paura a sposare i due giovani, cita delle formule canoniche per spiegare gli impedimenta e i dirimenta per colpa dei quali non è possibile celebrare il matrimonio. Renzo allora esplode manifestando la sua rabbia con questa frase:” Che vuol ch’io sappia del suo latinorum?” convinto di usare un’espressione corretta; in realtà usa quella desinenza che più colpisce i non latinizzati, per la sua diversità dalle abituali desinenze italiane.

Ne discere cessa = Non smettere mai di imparare (Catone)
Questa massima del famoso scrittore latino (famoso anche per la sua volontà di distruggere Cartagine) sta ad indicare che anche le persone avanti negli anni devono continuare ad imparare. La moderna gerontologia ha confermato la validità di questa esortazione, osservando che lo stimolo intellettuale aiuta a conservare la mente giovane.

Funere mersit acerbo = Morì di morte immatura (Virgilio, Eneide)
Nel VI° libro del poema virgiliano, Enea compie un viaggio nell’oltretomba e vede le anime dei bambini confinate nell’Antinferno poiché, non avendo compiuto tutto il ciclo della loro esistenza, non possono trovare una collocazione definitiva all’interno dell’Ade (oltretomba pagano). Questa idea sarà ripresa da Dante che porrà le anime dei bimbi nel Limbo. L’espressione inoltre venne posta da Giosuè Carducci come titolo ad un sonetto scritto per la morte prematura del figlioletto Dante.

Ad maiora!


giovedì 9 febbraio 2017

APERITIVO ETIMOLOGICO

Torna, dopo un po', la nostra rubrica. Ci è venuto in mente di trattare il tema della morte (sic!), non per portare jella, ma perchè siamo stati ispirati dal film "Il settimo sigillo", di Ingmar Bergman, uscito nel 1958 e da noi visto per la prima volta al Liceo, ormai 19 anni or sono.
Vediamo, quindi, come i Padri latini vedevano e pensavano il momento conclusivo della loro esistenza.

Pallida mors aequo pulsat pede pauperum tabernas regumque turres = La pallida morte batte con lo stesso piede alle capanne dei poveri ed alle torri dei re (Orazio, Odi, I, 4, 13-4).
    
Questa variazione poetica sul tema della morte che non opera distinzioni di classe sociale è interessante soprattutto per le due metafore impiegate, quella del volto pallido e quella del bussare. In quasi tutte le culture europee la morte viene presentata come una figura spettrale che viene a raccogliere le sue vittime presentandosi alla loro porta, ad indicare che non esiste alcun luogo in cui rifugiarsi per poterle sfuggire. Bella la definizione di pallida mors, uno splendido esempio di ipallage, ovvero di spostamento di aggettivo da un temine all’altro: infatti pallido è chi muore, non la morte.

Acta est fabula = La commedia è finita (dal linguaggio teatrale).

Sono le parole con le quali, al termine della commedia, l’attore si congedava dal pubblico chiedendone nel contempo l’applauso. Stando alla tradizione, l’imperatore Augusto, in punto di morte, avrebbe pronunciato questa frase e, paragonando la propria vita a quella di un attore, avrebbe chiesto a parenti ed amici di applaudirlo se avessero gradito la rappresentazione. Bisogna comunque considerare che il teatro è una delle metafore più usate per indicare il corso della vita umana insieme a quella della nave.

Abire ad plures = Andarsene fra i più (Petronio, Satyricon, 42, 5).


E’ una locuzione molto famosa atta ad indicare che i defunti sono assai più numerosi dei vivi perché comprendono tutte le generazioni dell’umanità, mentre sulla terra ne vive solamente uno alla volta. L’espressione è presente anche nel nostro dialetto (andè fra i piò tânt).

Riproponiamo la scena della partita a scacchi tra la Morte e il cavaliere, tratta dal film "Il settimo sigillo".



Ad maiora!

giovedì 3 novembre 2016

TRE APERITIVI IN PARTENZA!

Dopo un po' di tempo, e dopo aver privilegiato altri temi, ritornano i nostri aperitivi.
Buona lettura!

Aurea mediocritas

L’aurea via di mezzo (Orazio, Odi, II, 10, 5)


Si tratta di una traduzione alternativa al “modus optimum” con cui veniva reso il precetto greco di Pitagora (Métron άriston: l’ottima misura). L’aggettivo “aureus” indicava eccellenza e la “mediocritas” era il termine tecnico con cui i filosofi abitualmente rendevano il giusto equilibrio. L’ode di Orazio in cui viene impiegata l’espressione è, infatti, un invito alla saggezza, che consiste proprio nella capacità di tenersi lontani da ogni eccesso. Al giorno d’oggi, però, la locuzione è mal interpretata: dato che, in italiano, il termine “mediocrità” non ha il valore positivo del suo antenato latino, “aurea mediocritas” ha finito per essere usato nel senso di “mediocrità superficiale”. Niente di più sbagliato! Trovarsi a metà strada, infatti, è aureo perché equidistante fra la cima, ovvero gli eccessi, e la base, i difetti.

Gloria fugientes magis sequitur
La gloria insegue preferibilmente quelli che la sfuggono
(Seneca, De beneficiis, V,1,4)
Massima, a nostro avviso, di grande, grandissima potenza. Molto più di un luogo comune, quindi. Nella cultura classica la modestia è un requisito indispensabile per raggiungere la vera gloria, che non va esaltata nè desiderata. Potremmo attualizzare il concetto in riferimento ai tanti personaggi che popolano la nostra quotidianità e che si affannano ad apparire, senza preoccuparsi di essere.
Ecco, quindi, un buon motivo per rispolverare le tradizioni classiche, mai passate di moda, mai superflue.

Tu ne quaesieris, scire nefas

Tu non chiedere, non è lecito saperlo (Orazio, Odi, I, 11, 1)

Si tratta dell’inizio di una delle odi più celebri di Orazio, quella del Carpe diem. Il poeta, parlando con la sua donna, il cui nome lirico è Leuconoe, dal greco “testa/mente candida”, la invita a non cercare di prevedere il futuro ricorrendo alla magia perché non è lecito sapere quale sorte ci abbiano riservato gli dei. L’unica salvezza per l’uomo è non sperare nel domani, poiché non sappiamo se ci sarà un domani, e vivere nel presente, cogliendo l’attimo, ed evitando speranze troppo a lungo termine (Spatio brevi spem longam reseces: “Taglia la speranza troppo lunga in uno spazio troppo breve”). Forse molti di voi ricordano un film, “L’attimo fuggente”, in cui il Professor Keating invitava i suoi ragazzi a vivere il mondo con libertà ed autonomia morale, di pensiero e di azione, lottando contro le rigide imposizioni delle famiglie e della società. Un insegnamento coraggioso, straordinario, ma anche molto pericoloso. Non vogliamo dire che si debba seguire pedissequamente il volere degli altri, ci mancherebbe! Ma i giovani hanno anche bisogno di riferimenti e di regole ed è stato questo – forse – il piccolo grande errore commesso dal Professore. Speriamo che il Carpe diem e la citata pellicola che ha come protagonista Robin Williams vi invitino a riguardare, o a vedere per la prima volta, questo straordinario film. Più arduo sarà leggere le Odi di Orazio, ma la speranza è sempre l’ultima a capitolare!

Ad maiora!

venerdì 5 agosto 2016

A voi, cari amici, il nuovo tris di aperitivi!

Con questo caldo, tre aperitivi non possono che ristorarvi.
Buona lettura!

APERITIVO ETIMOLOGICO
QUO VADIS?
Dove vai? (dagli Atti del martirio di San Pietro)
Secondo una leggenda diffusasi negli ambienti Cristiani di Roma, l’apostolo Pietro, che si trovava in città durante una persecuzione anticristiana dell’imperatore Nerone, essendo stato avvertito del pericolo che correva, stava scappando da Roma. Uscendo, però, incontrò Gesù che, alla sua celebre domanda, rispose che andava a Roma a farsi crocifiggere ancora. L’apostolo capì che si trattava di un rimprovero per il suo secondo tradimento, tornò in città ed affrontò serenamente il martirio. 
La frase “Quo vadis?” divenne poi il titolo di un romanzo di H. Sienkewicz, giornalista e scrittore polacco premio Nobel per la letteratura nel 1905, e del kolossal holliwoodiano che ne fu tratto.


Nelle foto: la locandina del film, Henryk Sienkewicz e Peter Ustinov, celebre attore britannico, nei panni di Nerone.




APERITIVO ETIMOLOGICO
Niente basta a chi non basta ciò che è sufficiente (Epicuro).
Epicuro (Samo, 341 a.C. - Atene, 271 a.C.) è fondatore di una delle più importanti scuole ellenistiche, il "Giardino" (L'Ellenismo è un periodo storico/culturale compreso fra III° e I° secolo a.C. e consistente nella diffusione della cultura greca nel vicino e lontano Oriente e nel tentativo di fondare una lingua comune, comprensibile in tutto il mondo "grecizzato" - la cosiddetta "Koinè") ed è autore di oltre 37 libri, 9 dei quali rimasti a noi. 
La citazione che abbiamo riportato rappresenta uno dei punti più importanti del pensiero epicureo: vivere serenamente, accettando il naturale scorrere del tempo, non temere la morte perchè "la morte è nulla per noi, perché quando ci siamo noi la morte non c'è e quando c'è la morte non ci siamo più noi". L'unica cosa che rimane è il piacere sereno dell'anima, che va goduto senza covare la pretesa di renderlo durevole in quanto il piacere assoluto non esiste o, quantomeno, l'uomo non potrà mai raggiungerlo.

APERITIVO ETIMOLOGICO
Forse non tutti sanno che...
Oggi non vi raccontiamo la storia di un detto, ma di un fiume: il Tevere. 
Fu Benito Mussolini, nel 1923, ad "allargare" i confini della zona tosco-romagnola, in modo da inserirvi la parte di Verghereto, su cui sorge il monte Fumajolo.
Il perchè di questa scelta è presto spiegato: il Duce voleva che la sorgente del fiume Tevere, che si trova appunto sul Fumajolo, nascesse in Romagna. Roma e le sue sacre acque come simbolo e forza di un Impero, quello romano, di cui Mussolini si sentiva in qualche modo continuatore e nuovo Cesare.
Tutti sappiamo come andò a finire...



Ad maiora!


martedì 17 maggio 2016

I nuovi aperitivi con un po' di musica!

APERITIVO ETIMOLOGICO

Nihil est tam mobile quam feminarum voluntas

Niente è tanto mobile quanto i voleri delle donne (Seneca, De remediis, XVI, 3).



Il tema della mutevolezza femminile è da sempre caro ai proverbi e alle sentenze d’autore. Per concetti analoghi vediamo anche il detto virgiliano “Varium et mutabile semper foemina” (La donna è una creatura sempre varia e mutevole, Eneide, IV, 569-70) e l’amara consapevolezza espressa da Catullo nel suo Liber: “Mulier cupido quod dicit amanti, in vento et rapida scribere oportet aqua (Ciò che una donna dice all’amante pieno di desiderio bisognerebbe scriverlo nel vento e nell’acqua corrente). Occhio, quindi, a non compiere passi falsi! Come ci ricorda Big Luciano Pavarotti in questa versione tratta dal Rigoletto di Giuseppe Verdi...





APERITIVO ETIMOLOGICO


Excusatio non petita, accusatio manifesta

Una scusa non richiesta è un'accusa manifesta (Proverbio)


Questo proverbio, di origine medievale, riprende una tradizione già diffusa nel mondo antico, secondo la quale l'eccessiva difesa di una causa fa apparire la colpevolezza di chi parla. Il proverbio esiste ancora oggi nelle moderne lingue europee.


APERITIVO ETIMOLOGICO


Ad interim

(In carica) provvisoriamente.


Si tratta di un avverbio, interim, che ha il valore di complemento di tempo (frattanto) e di una preposizione ad che indica il momento fino a cui si estende il tempo del quale si parla. Sia nel latino classico che in quello moderno si parla di carica ad interim quando chi la ricopre non ne è il definitivo incaricato, ma solo un sostituto che ne svolge le funzioni in via strettamente provvisoria. Per fare un esempio un Presidente della Repubblica ad interim può essere il Presidente del Senato quando il Presidente in carica sia ammalato, morto o destituito; inoltre esistono anche ministeri ad interim ricoperti dal Presidente del Consiglio quando si deve provvedere alla sostituzione di ministri dimissionari.



Ad maiora!

martedì 16 febbraio 2016

Il tris dei nostri aperitivi non nuoce alla salute!

Come sempre, ecco un riepilogo degli ultimi tre aperitivi etimologici del mese!

VULPEM PILUM MUTAT NON MORES
La volpe cambia il pelo, non i costumi (Proverbio)
Si tratta di un proverbio già diffuso in ambito latino, mentre nel mondo greco era usata la metafora del lupo. In italiano sono rimaste entrambe le versioni: “La volpe perde il pelo, ma non il vizio” e “Il lupo cambia il dente, ma non la mente” (questo aforisma, forse, è meno conosciuto). Variazioni simili, sempre con gli stessi animali come protagonisti, si hanno anche nelle altre lingue europee.

BERESHI’T BARA’ ELOHI’M ET HASHAMAJM VEET HAARETZ
Dal principio creò i cieli e la Terra. (Genesi, I, 1)
Oggi citiamo il primo versetto dell’Antico Testamento, simbolo della creazione. Gli Ebrei non conoscono la parola Genesi, ma è una nostra interpretazione dell’ebraico BERESHI’T, che significa, appunto, “dal principio”. Il popolo di Israele ha una storia straordinaria ed oggi, 27 gennaio, volevamo rivolgere un pensiero a quanto accadde una settantina di anni or sono.
Ma Israele non è “solo” questo. Gli Israeliti, infatti, hanno inventato il sistema consonantico, quello che noi chiamiamo alfabeto, composto da 27 grafemi (non sono stati i Fenici a farlo, come si legge sui libri di storia!). L’ebraico biblico fino al VII secolo d.C. ha solo consonanti. Le vocali vengono aggiunte in seguito: il “nyqùd”, la “puntatura”, cioè vocalizzazione, è stata inventata da un gruppo di rabbini, i “punctatores”, a Tiberiade nel VII secolo.
Quella del popolo ebraico, quindi, non è solo storia di religione e di “diàspora” (dispersione, fuga: pensiamo a quella dall’Egitto, condotta da Mosè, oppure a quella dalla Babilonia di Nabucodonosor, che ha ispirato il grande Giuseppe Verdi nella composizione del Nabucco), ma anche e soprattutto di cultura e tradizioni.
Un popolo grande, quindi, che ha vissuto la tremenda persecuzione nazista: 6 milioni di morti, tanti sopravvissuti suicidatisi anni dopo perché non riuscirono a sopportare il peso del tragico ricordo, troppi, ahinoi, delinquenti che ancora oggi sostengono il negazionismo, ovvero che la Shoah non sia mai esistita.

QUI GRATE BENEFICIUM ACCIPIT, PRIMAM EIUS PENSIONEM SOLVIT
Chi accoglie un beneficio con animo grato paga la prima rata del suo debito. (Seneca, De Beneficiis, II, 22, 1).
Celebre massima del filosofo spagnolo Lucio Anneo Seneca, vissuto a Roma nel I secolo d.C. alla corte dell’imperatore Nerone. Di lui si ricordano, oltre alle innumerevoli opere, gli ultimi giorni di vita, raccontatici magistralmente dallo storico latino Tacito: Seneca, non potendo lasciare in eredità ai suoi discepoli alcun bene materiale, dona loro l’immagine della sua vita e li richiama alla fermezza nel momento delle lacrime in quanto esse sono in contrasto con gli insegnamenti che il filosofo ha sempre impartito. Accusato di aver preso parte al complotto ordito contro Nerone (la celebre congiura dei Pisoni, dal nome della famiglia che l’aveva organizzata nel 65 d.C.), Seneca, che in realtà ne era solo informato marginalmente, riceve dall’Imperatore l’ordine di togliersi la vita (o, quantomeno, gli viene fatto capire ciò). Non potendo né avendo l’intenzione di sottrarsi, Seneca si suicida “stoicamente”, vale a dire rimanendo imperturbabile di fronte al proprio destino.

Ad maiora!


mercoledì 30 dicembre 2015

Eccovi un poker di aperitivi!

Cari amici lettori, finalmente da oggi posso contare di nuovo sul PC! E che PC!
Lo inauguro subito pubblicando quattro aperitivi, fino ad ora visibili solo sulla pagina Facebook del blog!

Ad maiora!


QUI PRO QUO

Una cosa per l’altra (detto proverbiale).

Questa espressione, di origine ignota anche se probabilmente legata alla filosofia scolastica medioevale, deriva forse dalla “corruzione” popolare di qualche altro modo di dire, dato che nell’attuale formulazione non ha alcun significato (infatti la sua traduzione letterale sarebbe:” il quale per il quale”. E’ probabile che il primo pronome fosse in origine un quis o un quid, dando come traduzione o “quale cosa al posto di un’altra” oppure “chi al posto di chi”. Comunque la formula gode ancora oggi di grande popolarità tanto da venire considerata alla stregua di un sostantivo (“il quiproquo”, “un quiproquo”), che è sinonimo di equivoco. Nel mondo anglosassone invece ha assunto il significato di scambio, di una cosa in cambio dell’altra.


CLAVO CLAVUM EICERE (Proverbio)
Chiodo scaccia chiodo (Lett.: scacciare un chiodo con un altro chiodo)
Si tratta di una locuzione che, in origine, designa solo la comodità di scacciare un male con un rimedio simile (si potrebbe anche utilizzare il detto, mutuato dalla medicina omeopatica, “similia similibus curantibus”, vale a dire “il simile si cura con il simile”); la metafora è ancora viva nella nostra lingua, dove però si applica soprattutto all’ambito erotico, dato che “chiodo scaccia chiodo” è quasi sempre un’esortazione a dimenticare un amore cercandone un altro.

SEMPER BONUS HOMO TIRO EST (Marziale, Epigrammi, XII, 51, 2)
L’uomo buono è sempre un pivello...
Il “tiro” era la recluta dell’esercito romano. Dal linguaggio militare il termine è poi passato ad indicare qualsiasi principiante, esordiente o novellino. Concetti simili a questo espresso da Marziale sono presenti in tutte le lingue. In italiano, ad esempio, si può dire “troppo buono, troppo minchione!”.

NON IN SOLO PANE VIVIT HOMO
Non di solo pane vive l'uomo (Deuteronomio, 8, 3; Matteo, 4, 4)...
Celebre soprattutto per la sua presenza nel Vangelo (dove Gesù la pronuncia in risposta alle tentazioni del Demonio nel deserto), la massima acquista significato da ciò che segue: "ma di ogni parola che provenga dalla bocca di Dio". Quindi si tratta di un'esortazione a preoccuparsi della vita spirituale prima che delle necessità materiali. E di questo, soprattutto oggi che è Natale, spesso ce ne dimentichiamo.

Buona degustazione!
Ci sentiamo l'anno prossimo!

 

mercoledì 4 novembre 2015

Ecco servito il tris di aperitivi!

Come consuetudine, pubblichiamo gli ultimi tre motti del mese di ottobre da bere, naturalmente, tutti in un sorso!



APERITIVO ETIMOLOGICO

Ipse dixit!

L’ha detto lui (motto dei discepoli di Pitagora)
Con questa frase gli allievi di Pitagora, celebre filosofo greco del VI secolo a.C., rinforzavano le loro affermazioni sulla base dell’autorità del maestro; come dire… “L’ha detto lui, quindi è vero!”. Già nel mondo antico, tuttavia, questa espressione la si ripeteva con ironia per sottolineare un atteggiamento di totale accettazione di un principio non vagliato né confutato. Essere creduloni, per dirla alla buona, conveniva, secondo il pensiero di molti. Oggi il motto pitagorico è usato anche per sottolineare l’assurdità di un’affermazione e per confermare che la si sta citando fedelmente. 






APERITIVO ETIMOLOGICO

Veni, vidi, vici.

Sono arrivato, ho visto, ho vinto (Svetonio, Vita di Cesare, 37,2)

Sono le parole con cui Cesare annunciò la vittoria su Farnace nel 47 a.C. o  affidandole ad un messaggero che le portasse a Roma, secondo il racconto di Plutarco, oppure scrivendole sulle insegne fatte sfilare durante il trionfo, secondo la versione di Svetonio. La frase ha goduto di enorme fortuna, dovuta anche al suo stile telegrafico ed all’effetto dell’allitterazione (ovvero della ripetizione, ricercata o spontanea, di lettere o più sillabe in una serie di due o più vocaboli) tra i tre verbi ed è ancora usata, ironicamente, per raccontare un successo molto più facile del previsto.






APERITIVO ETIMOLOGICO

 UBI MAIOR, MINOR CESSAT

Dove c’è il superiore, l’inferiore si ritira (Proverbio)
Nella forma latina, questo proverbio si riferisce a rapporti fra potenti, alludendo alla necessità di rispettare la scala gerarchica. La frase è rimasta nella lingua originale ed è ancora oggi molto diffusa a livello popolare, ma ha finito per riferirsi a fatti o doveri, indicando che quando si presenta una necessità più incalzante, quella meno importante passa in secondo piano. Spesso la si cita solo parzialmente, abbreviandola in “Ubi maior…”.



Ad maiora!



martedì 15 settembre 2015

Bere i nostri aperitivi fa bene! Ecco i primi tre!

Come promesso sulla nostra pagina FB, riprendiamo i tre motti dell'aperitivo etimologico e li riproponiamo insieme, da gustare in un unico sorso! 



APERITIVO ETIMOLOGICO 1
MEMENTO AUDERE SEMPER
Ricorda di osare sempre (Motto di Gabriele D’Annunzio)
Questo detto fu coniato da D’Annunzio in occasione della “beffa di Buccari” (l’incursione militare italiana a Bakar, in Croazia, del febbraio 1918, a cui partecipò lo stesso poeta pescarese, divenuto successivamente l’eroe della conquista di Fiume) e costituisce il credo della sua vita e di quella della sua generazione. Per la presenza dell’imperativo iniziale “Memento”, appunto “Ricorda”, tipico del linguaggio giuridico, è diffusa l’opinione che si tratti di un motto antico ripreso dal poeta, anche se, in realtà, lui stesso ha raccontato di averlo inventato sciogliendo così la sigla dei motoscafi da guerra MAS (Motoscafi Armati Siluranti).
La massima dannunziana, imponente e di color rosso acceso, è impressa su un muro del Vittoriale, la casa sul lago di Garda nella quale D’Annunzio visse fra il 1921 ed il 1938, anno della morte.





APERITIVO ETIMOLOGICO2
ᴨάντα ῥεῖ
Tutto scorre (Eraclito)
Questa espressione, che condensa il nucleo del pensiero di Eraclito, antico filosofo greco del VI – V secolo a.C., esprime l’idea secondo la quale la realtà è un continuo divenire e nulla è mai identico a se stesso. Per capire meglio il concetto pensiamo ad un fiume, in cui è impossibile bagnarsi due volte nella stessa acqua.
Oggi il motto, pur restando famosissimo, è passato ad indicare un po’ banalmente che “il tempo passa”. 





APERITIVO ETIMOLOGICO 3
SURSUM CORDA! (Liturgia cattolica)
In alto i cuori
Per chi è abituato a frequentare la Messa, il sacerdote pronuncia questa frase, a cui l’assemblea risponde: “Sono rivolti al Signore!”. Si tratta, quindi, di un’esortazione a rivolgere il cuore a Dio.
Fuori dal contesto, però, Sursum corda costituisce piuttosto una formula di incoraggiamento, un invito a risollevarsi dopo una difficoltà o una sconfitta.
Con questo motto ci rivolgiamo a tutti i bambini, ragazzi e, naturalmente, anche agli insegnanti che, da domani mattina, saranno di nuovo in classe… Sursum corda!!!





Ad maiora!