Sono 𝐅𝐚𝐛𝐢𝐨 𝐏𝐚𝐠𝐚𝐧𝐢, insegnante di Lettere e giornalista pubblicista iscritto all'OdG Emilia Romagna (n.187590).
Ora 𝐈𝐥 𝐜𝐚𝐟𝐟𝐞̀ 𝐝𝐞𝐥 𝐏𝐫𝐨𝐟𝐞𝐬𝐬𝐨𝐫𝐞 si rinnova e diventa testata giornalistica che ospita cultura, storia e sport, dando voce alla pagina 𝐂𝐫𝐨𝐧𝐚𝐜𝐡𝐞 𝐠𝐢𝐚𝐥𝐥𝐨𝐫𝐨𝐬𝐬𝐞, canale di informazione sul Ravenna FC. Sintesi delle partite, interviste e approfondimenti saranno le linee principali di questa nuova funzione del nostro sito.
Domenica 17 agosto, alle ore 18,
prende il via la stagione ufficiale del Ravenna FC. Di scena, al Benelli, il
primo turno di Coppa Italia di serie C, nel quale i giallorossi se la vedranno
contro l’AS Cittadella. I veneti, retrocessi lo scorso maggio dalla serie B
dopo 10 anni consecutivi in cadetteria, sono fra i favoriti in campionato, nel
girone A, e sicuramente scenderanno a Ravenna con l’intenzione di portare a
casa la qualificazione al secondo turno della coppa.
Ma vediamo, nel dettaglio, come
si presenta la formazione di Mister Iori a questo appuntamento.
Mister Manuel Iori
Dopo il ritiro di Lavarone, gli
amaranto sono carichi di aspettative; così il DS Marchetti: “C’è voglia di
riscatto, i ragazzi seguono il Mister con attenzione. Lavorano bene anche tra
di loro. Il gruppo è coeso, si respira un bel clima. Questo mi dà fiducia”.
Parole importanti anche sull’allenatore, al primo anno in sella ai patavini e
già bandiera del Cittadella da calciatore: “Conosco Iori da molto tempo e sono
convinto delle sue idee calcistiche. Abbiamo cercato di costruire una squadra
che si adatti al suo gioco. È cambiato anche il modulo. In ritiro c’era voglia
di imparare, è volato via in un attimo”.
Sul fronte giocatori, segnaliamo
due acquisti operati in estate: il difensore Alex Redolfi, classe 1994, reduce
da un ottimo biennio a Mantova, e l’attaccante Cristian Bunino, 29 anni, con un
passato in piazze di rilievo come Livorno, Siena, Juventus Next Gen, Brindisi e
Casertana. Conferme per le punte Pandolfi, Rabbi e, soprattutto Diaw, a dimostrazione
della ferma volontà della società amaranto di essere protagonista assoluta in
questa stagione.
Davide Diaw: per lui 10 stagioni in serie B
Per quanto riguarda il
regolamento del primo turno di Coppa Italia, che si disputa in gara secca,
ricordiamo che, alla permanenza del punteggio di parità dopo il novantesimo
minuto, si tireranno direttamente i calci di rigore per stabilire quale delle
due squadre passerà alla fase successiva della competizione.
Buona prestazione dei giallorossi nell'amichevole del Benelli; non convince, però, l'attacco
di Fabio Pagani
Nella canicola agostana, davanti comunque ad un buon pubblico (circa 600 i paganti), il Ravenna ha la meglio sulla Virtus Verona, squadra di serie C militante nel girone A. Il dato che rassicura è quello della compattezza di squadra, già evidente; quello che, invece, lascia ancora un po' perplessi è il peso specifico del parco attaccanti, che pensiamo debba essere rinforzato. Con il mercato ancora aperto e le opportunità da cogliere, la società bizantina non resterà con le mani in mano.
Note più che positive le conferme della "vecchia guardia", vale a dire Esposito, Rossetti e Rrapaj, non male anche il contributo di Tenkorang in mediana e, soprattutto, del giovane Di Marco. Nel reparto offensivo sia Motti che Zagrè non sono parsi in grande evidenza; menzione di merito per Spini che, a 9' dalla fine, firma il gol vittoria su cross di Solini.
Spini esulta dopo il gol (foto M. Fiorentini)
E' calcio d'agosto, naturalmente: i segnali di una discreta crescita di squadra ci sono tutti, occorre aver pazienza e, come si diceva prima, attendere dal mercato qualcosa in più in avanti. Da domenica prossima si farà sul serio: il Ravenna ospiterà, per il primo turno di Coppa Italia, il Cittadella (fischio d'inizio alle 18), mentre sabato 23, alle ore 21 e sempre al Benelli, prende il via il campionato contro il Campobasso.
Il tabellino
Ravenna - Virtus Verona 1-0 (36'st. Spini)
RAVENNA: Anacoura; Corsinelli (26’ st Da Pozzo), Scaringi (15’ st Donati), Esposito (26’ st Bianconi), Solini, Rrapaj (26’ st D’Orsi); Tenkorang (34’ st Rizzo), Rossetti (26’ st Lonardi), Di Marco (34’ st Calandrini); Motti (1’ st Spini, 40’ Mandorlini), Luciani (26’ st Zagre). A disp.: Stagni, Morigi, Menegazzo, Sarmenghi, Zakaria. All. Marchionni.
VIRTUS VERONA: Sibi; Patané, Spezzano, Toffanin, Daffara, Saiani (40 st Filippi); Muhameti, Fanini (41’ st Ojeh), Mastour (17’ st Bassi), Zarpellon (30’ st Gatti); Fabbro (36’ st Cuel). A disp.: Alfonso, Peroni, Cielo, Lodovici, Passigato, Amadio, De Marchi, Munaretti, Odogwu, Di Virgilio. All. Fresco.
Viviamo nell’epoca dello stress e
dell’ansia. Ormai queste parole sono entrate a far parte dei più comuni modi di
dire: “Che ansia!”, “Non mi stressare!”, ecc.
Durante la stagione estiva, il
caldo intenso si riverbera sulla nostra psiche: si aggravano, infatti, i
disturbi psicologici come, appunto, l’ansia, la depressione e la psicosi e ciò
è dimostrato da numerosi studi scientifici.
Le anomalie climatiche modificano
lo stile di vita quotidiano di ognuno di noi e riducono le occasioni di
socializzazione, amplificando la solitudine e l’isolamento; le persone più a
rischio, cioè bambini e anziani, possono subire un vero e proprio “shock
climatico”, traducibile in una nuova patologia definibile come “Eco-Ansia”. Di
che cosa si tratta? E’ una sindrome ansioso-depressiva centrata sul cambiamento
climatico, sull’impatto ambientale e sulle conseguenze, spesso drammatiche,
delle azioni umane sulla natura.
L’Eco-Ansia colpisce soprattutto adolescenti
e giovani adulti, vale a dire le categorie sociali con una accentuata sensibilità
ecologica; i sintomi più comuni sono insonnia, rabbia, angoscia, pensieri
ricorrenti legati alla morte e alle malattie, il tutto corroborato dalle
notizie mediatiche sui vari disastri climatici.
Chi soffre di questa patologia
accusa una profonda sensazione di estraneità sociale e la percezione di non
essere ascoltato e compreso. Sottovalutare l’Eco-Ansia è un grave errore: le
persone che ne esprimono il disturbo, infatti, danno spesso voce, in modo inconscio,
ad altri problemi che le affliggono (sociali, familiari, economici, ecc.).
Insomma, l’Eco-Ansia rappresenta un segnale, sempre più forte, di una
sofferenza collettiva che ci coinvolge il rapporto con il mondo e con il futuro
che ci attende. Non dimentichiamolo.
oggi, come sappiamo, si festeggia Sant’Apollinare, patrono della città di Ravenna. Ecco un piccolo passaggio sui binari della storia, oggi come non mai degna di essere raccontata. Come per la maggior parte dei santi del I secolo, non abbiamo molte fonti storiche; alcuni collocano il personaggio nello stesso periodo in cui visse Pietro, altri un po’ più in avanti, vale a dire attorno al 200 d.C.
Il giovane Apollinare vive ad Antiochia (l’antica Turchia) e proviene da una famiglia di religione pagana, quindi politeista. Un giorno, però, dalle sue parti giunge Pietro a predicare una nuova fede dalla quale Apollinare si fa subito rapire. A quel punto, il giovane segue l’apostolo a Roma con una missione ben precisa: la capitale dell’Impero è solo una tappa per Apollinare, che infatti viene inviato a Classe dove la flotta romana dispone di una schiera di oltre 300 marinai provenienti dall’Oriente.
Apollinare si distingue subito per le sue doti di leader e Pietro decide di affidargli la costruzione della prima chiesa cristiana a Ravenna, di cui quel giovane venuto da Antiochia diventa proto vescovo. La convivenza con le antiche credenze pagane non è però semplice, tant’è che Apollinare viene più volte picchiato perché si rifiuta di consacrare offerte materiali ad idoli che il Cristianesimo, naturalmente, non riconosce.
Sant'Apollinare
Dopo circa 30 anni di reggenza della chiesa ravennate, attorno al 70 d.C. Apollinare è picchiato a sangue dagli emissari dell’imperatore Vespasiano perché si era, ancora una volta, rifiutato di cedere alla religione pagana. Il vescovo di Ravenna morirà qualche giorno dopo il pestaggio nel luogo in cui, nel 549 d.C., gli verrà consacrata la basilica di Sant’Apollinare in Classe (costruita 15 anni prima). Nel IX secolo, i resti mortali di Sant’Apollinare saranno traslati nella chiesa di Sant’Apollinare Nuovo.
Uno scrigno
antropologico nel golfo delle Andamane
Un nuovo ingresso nella nostra redazione: si tratta di Francesco Costa, insegnante di scuola materna e studente universitario, nonché esperto di biologia marina e di tutto quel che riguarda la natura. Francesco ci regala un bell'articolo sulla North Sentinel Island, posto unico al mondo nel quale vive ancora una tribù di indigeni. Di veri indigeni, che non hanno mai avuto contatti con la civiltà. Leggendo l'articolo, capiremo come il governo indiano e le autorità stiano gestendo questo importante patrimonio dell'umanità.
In fondo alla pagina, una breve biobibliografia dell'autore. Benvenuto, Francesco!
di Francesco Costa
Nel 2025 la società umana ha
ormai raggiunto un elevato livello di sviluppo nei continenti ed in tutte le
terre: l’essere umano ha costruito società moderne ed efficienti, ormai simili
in tutto il mondo.
Il processo di globalizzazione ha
accomunato i popoli della terra tramite tratti simili e risulta oggi difficile
pensare ad una società primitiva, quando ancora l’uomo non conosceva la scienza
e la tecnologia. Sembra impossibile che al giorno d’oggi esistano ancora
persone che non conoscono internet, le automobili o la radio, eppure questi
individui ci sono, anche se in numero esiguo.
C’è un’isola situata nel golfo
del Bengala all’interno dell’arcipelago delle Andamane, denominata North
Sentinel Island, non troppo distante dall’India, che nasconde un interessante
segreto antropologico; in questo luogo infatti abita una tribù di indigeni, che
non ha mai avuto alcun contatto prolungato con il mondo esterno per migliaia di
anni, preservando una struttura sociale, organizzativa e tecnologica primitiva,
simile a quella dei nostri antenati, vissuti migliaia di anni fa.
Una veduta dall'alto di Sentinel Island
Si ipotizza che sull’isola
abitino dalle 50 alle 500 persone, ma la stima non è certa; inoltre la
popolazione nativa non può essere certamente censita, in quanto si dimostra
estremamente aggressiva nei confronti di qualunque visitatore esterno che si
appresti a sbarcare sull’isola. Tramite l’utilizzo di armi come archi, frecce e
rudimentali giavellotti, la popolazione locale aggredisce qualunque barca o
velivolo che si avvicini troppo all’isola, dimostrando di non volere alcun
contatto con il mondo esterno.
Soltanto durante alcune rare
missioni governative e scientifiche si è potuto osservare, anche se da una
certa distanza, la popolazione locale, che appare comunque belligerante e poco
accomodante.
Si ipotizza che questo popolo
abiti l’isola da circa 60.000 anni e, non avendo avuto praticamente nessun
contatto con il mondo esterno, preservi gli usi e costumi della vita tribale, rappresentando
uno scrigno antropologico di conoscenza sulla condotta ancestrale dell’uomo e
sulla sua origine.
Foto originale degli indigeni dell'isola
Attualmente l’amministrazione
delle Andamane ha dichiarato di non voler interferire in nessun modo con la
vita degli abitanti dell’isola, i Sentinelesi, e di non tentare alcun contatto
con loro, impedendo alle navi ed ai velivoli di sostare sull’isola e vietando
gli sbarchi sul territorio, al fine di tutelare la tribù ed il suo delicato
stile di vita.
In passato non sono mancati
incidenti di curiosi che hanno deciso di violare il divieto ed avventurarsi
sull’isola: tutti costoro non sono mai tornati indietro e sono stati uccisi dai
locali; anche per questo il governo dell’India ha dato direttive alle proprie
navi di non avvicinarsi per nessun motivo all’isola e di non cercare contatto
con i Sentinelesi, al fine di tutelare loro e i marinai Indiani.
In un mondo cosi avanzato come il
nostro, dove la velocità e la tecnologia la fanno ormai da padroni, esistono
ancora rarissimi luoghi di lentezza, dove il tempo sembra essersi fermato, dove
i saperi ancestrali ed antichi dell’uomo dominano ancora la realtà, uno di
questi è proprio North Sentinel Island, dove un piccolo popolo vive ancora in
modo naturale, ignorando la modernità e lo sviluppo del ventunesimo secolo, rappresentando
una perla rara per la collana della storia umana, perla, che sarà nostro
compito preservare per i prossimi millenni.
Francesco Costa (2000) è
un giovane poliedrico che coltiva moltissimi interessi: dai viaggi alla
biologia marina fino alle piante e a tutto ciò che riguarda la natura. Laureato
alla triennale di Scienze dell’Educazione, lavora da tempo come insegnante
nella scuola materna, in attesa di conseguire l’alloro per la specializzazione
che gli consentirà di esercitare anche nella scuola primaria. Collabora con l’Università
per Adulti di Alfonsine e fa parte della Whale Watch Liguria, con cui
realizza escursioni marittime nel “Santuario dei cetacei”. Ha alle spalle una
pubblicazione dal titolo “I miei 10 anni tra le balene” (autoprodotto).
L’8 luglio di 35 anni fa si
chiudevano i mondiali di calcio di Italia ’90. Molto più di una semplice
manifestazione sportiva.
"Ciao", la mascotte dei mondiali
Quella sera, allo stadio “Olimpico”
di Roma, scesero in campo Argentina e Germania in una finale che, noi italiani,
avremmo dovuto e voluto disputare: ci furono fatali i calci di rigore nella
semifinale contro i sudamericani, giocata a Napoli, nel regno di Maradona. Il
mondiale lo vinsero i tedeschi, destinati a vendicarci battendo la nazionale
albiceleste con un tiro dagli undici metri trasformato dal compianto Andreas Brehme.
Maradona e Matthäus, capitani di Argentina e Germania nella finale
Quella coppa del mondo
rappresentava la chiusura del cerchio di un decennio, quello degli anni ’80,
che per l’Italia voleva dire benessere, denaro, opulenza: uscito dagli “anni di
piombo”, il Paese rinacque, pur portando dentro di sé le proprie naturali
contraddizioni; in politica vi fu il primo governo socialista della storia
repubblicana, il mondo della comunicazione venne travolto dal fenomeno delle
televisioni private di Berlusconi, l’imprenditoria vide la vertiginosa ascesa
dei cosiddetti “yuppies”, giovani professionisti molto attenti al proprio aspetto
esteriore e dediti alla bella vita.
La stessa RAI, il 5 giugno del
1990, inaugurò i nuovissimi studi di Saxa Rubra e mise in campo – è proprio il
caso di dirlo – un sistema avveniristico per riprendere tutte le partite del
mondiale e ciò che ne faceva da contorno.
Nei mesi precedenti la
manifestazione, furono costruiti e rinnovati gli stadi: ex novo, il “Delle Alpi”
di Torino ed il “San Nicola” di Bari, vere e proprie cattedrali nel deserto mai
decollate; la spesa complessiva per l’edificazione degli impianti fu di circa
1250 miliardi di lire (rispetto ai 250 miliardi preventivati…) e toccò gli oltre
7 miliardi considerando tutte le opere pubbliche nate ad hoc.
Gli effetti di questo spreco si
sarebbero palesati per oltre 25 anni sulle casse dello Stato; quello che,
invece, a breve sarebbe accaduto al Paese lo sappiamo tutti: l’illusione di Italia ’90 tramontava in campo con il rigore parato da Goycochea ad
Aldo Serena, sugli scranni della politica con lo scandalo denominato “Tangentopoli”,
con cui si sarebbe chiusa l’epoca dei partiti della cosiddetta “prima
Repubblica” e di quel benessere di superficie di fine anni ’80.
Ma a noi, che nell’estate del
1990 avevamo 8 anni, restano impresse le emozioni del primo mondiale della
nostra vita, del clima elettrico che si respirava e di quella voglia di sognare
che l’andare del tempo fatalmente sbiadisce. E poco importa se non abbiamo
vinto.
Il compianto "Totò" Schillaci, eroe delle "Notti Magiche"
Nel 25esimo anniversario della
scomparsa dello scrittore Giorgio Bassani, abbiamo deciso di andare alla
scoperta dei luoghi più significativi della città di Ferrara, dove egli è nato
e dove ha ambientato gran parte delle proprie storie. L’occasione ci viene
offerta dalla visita dei nostri amici reggiani: già, proprio loro! Ricordate
che li avevamo portati in giro per Ravenna, più o meno poco dopo Natale?
In una calda giornata di giugno,
ci troviamo in Corso Ercole I d’Este, le cui mura, ai lati della strada, ricorrono
spesso nel film “Il giardino dei Finzi Contini”, di Vittorio De Sica, tratto dall’omonimo
romanzo di Bassani. Nella pellicola, che racconta la storia di questa nobile famiglia
ebrea di Ferrara, in cui la bella Micol è corteggiata dall’amico d’infanzia
Giorgio, si vedono i due giovani, insieme ad altri amici, varcare il portone
che separa il corso dal meraviglioso parco interno della villa; Bassani, nel
romanzo, non indica volutamente i luoghi precisi della città in cui ambienta la
storia, ma li lascia immaginare al lettore.
L'ingresso del parco di Corso Ercole I d'Este
Il parco, in effetti, c’è ed è il
giardino pubblico Massari, che però non assomiglia per niente a quello del
film! De Sica ha scelto l’orto botanico di Roma per girare le scene in cui gli
amici di Micol giocano a tennis nel grande polmone verde della villa Finzi
Contini, mentre la dimora individuata per le riprese degli interni si trova in
Brianza. Realtà (i Finzi Contini non sono mai esistiti, ma vengono con certezza
identificati nella famiglia Magrini, vittima delle leggi razziali), finzione e
fantasia si mescolano magicamente, dando vita e corpo ad un romanzo e al relativo
film fra le creazioni più belle di sempre.
Micol, Giorgio e i loro amici nel grande giardino
La penna di Bassani (ebreo e, per
questo, sepolto nel cimitero ebraico di Ferrara) scorre fluida anche in un’altra
opera, “Le cinque storie ferraresi”: fra queste, menzioniamo “Una notte del ‘43”,
che richiama un fatto vero, vale a dire l’uccisione del federale fascista
Ghisellini, rivisitato in chiave narrativa e intrecciato alla vicenda privata
di Pino Barilari, farmacista reso invalido dalla malattia, che passa giorno e notte
alla finestra sopra la farmacia di sua proprietà, affacciata su Largo Castello,
di fronte alla rocca estense.
Anna e, alla finestra, il marito Barilari
Proprio lì, il 15 dicembre 1943 (la data è
posticipata di un mese rispetto alla vera storia), undici antifascisti sono
fucilati come capro espiatorio per l’assassinio del federale Bolognesi, freddato
in realtà dai sicari di Carlo Aretusi, detto “Sciagura”, che ne avrebbe preso
il posto. Una notte di sangue, registrata dagli occhi di Barilari, mentre la
sua bella e giovane moglie, Anna, si trovava a casa di Franco, l’amante, figlio
dell’avvocato Villani, trucidato nell’esecuzione di Largo Castello. Il film,
girato nel 1960 come opera prima di Florestano Vancini, è ancora oggi
bellissimo e ci regala scorci e luoghi veri di Ferrara, riportati fedelmente
sia nel racconto di Bassani che nella pellicola. L’immortalità de “Il giardino
dei Finzi Contini” e de “La lunga notte del ‘43” la dobbiamo anche ai grandi
attori che ne sono stati protagonisti: Dominique Sanda (Micol), Lino Capolicchio
(Giorgio), Giampiero Malnate (Fabio Testi) e Romolo Valli (padre di Giorgio)
per il primo film; Enrico Maria Salerno (Pino Barilari), Gino Cervi (Carlo
Aretusi), Gabriele Ferzetti (Franco Villani) e Belinda Lee (Anna) per il secondo.
Gino Cervi ("Sciagura") e Enrico Maria Salerno (Barilari)
Terminata questa emozionante
pagina letteraria e cinematografica, una buona pausa ristoratrice a base di
cappellacci ferraresi ha intervallato mattina e pomeriggio, nel quale abbiamo
percorso le vie del ghetto ebraico, via delle Volte e via Vignatagliata per
concludere in bellezza visitando il Castello Estense: le sue antiche prigioni,
con gli umidi e stretti cunicoli, ma anche gli immensi e raffinati saloni,
sembrano ancora dare voce all’epoca d’oro di una delle casate più prestigiose
della storia.
Vi lasciamo con i minuti finali del film "La lunga notte del '43", in cui Aretusi incontra, dopo tanti anni, Franco, salutandolo come un vecchio e caro amico. Sappiamo che, in realtà, l'ex federale fascista fu responsabile della morte del padre di Franco che, però, dimostra di esserne completamente all'oscuro...