Tutti sono a conoscenza delle “vicissitudini critiche” di Vincenzo Monti, vissuto in un periodo storico travagliato e segnato da eventi politici profondi, quali la Rivoluzione francese, la Repubblica Cispadana, l’avvento di Napoleone, la Restaurazione messa in atto dalla Santa Alleanza dopo il Congresso di Vienna. L’uomo Monti – secondo quanto si legge in molte storie della letteratura – si piegò a tutti gli avvenimenti divenendone di volta in volta il cantore ufficiale. Da iperboliche esaltazioni si passa a condanne assolute e profondo disprezzo, forse perché nel giudizio delle sue opere si fonde, quando non è dominante, quello della sua vita. Chi lo definisce grande poeta, chi lo dice arcade vuoto e perduto (vale a dire sordo, arido e superfluo rimatore di suoni inesistenti), chi lo celebra come Pater Patriae (Padre della Patria), chi, infine, lo qualifica come strimpellatore. Vediamo, in sintesi, alcuni dei giudizi più celebri sul poeta alfonsinese.
“… Ma tutto quello che spetta
all’anima, al fuoco, all’affetto, all’impeto vero e profondo, sia sublime, sia
massimamente tenero, gli manca affatto. Egli è un poeta veramente
dell’orecchio, del cuore in nessun modo” (Giacomo
Leopardi).
“… La natura gli aveva largito
le più alte qualità dell’artista: forza, grazia, affetto, armonia, facilità e
brio di produzione. Aggiungi la più consumata abilità tecnica, un’assoluta
padronanza della lingua e dell’elocuzione poetica. Ma erano forze vuote,
macchine potenti prive d’impulso. Mancava la serietà di un contenuto
profondamente meditato e sentito, mancava il carattere, che è l’impulso morale.
Pure i suoi lavori, soprattutto l’Iliade (N.B. la traduzione del poema omerico
da parte del Monti è, ancora oggi, considerata la versione migliore. E pensate
che Monti non conosceva il greco! Forse anche per questo, Foscolo la definì
“bella e infedele”), saranno sempre utili a studiarvi i misteri dell’arte e le
finezze della elocuzione” (Francesco De
Sanctis).
“… Il Monti fu un ingegno più
vario che non il Metastasio, più pronto e ricco che non il Parini, più facile e
vivo che l’Alfieri; seppe rinnovare quel che di usuale e di utile restava nelle
consuetudini dell’arte italiana; seppe attingere con discernimento e con gusto
alle letterature straniere (…) Fu in somma il maggior poeta ecletticamente
artistico che l’Italia da gran tempo avesse avuto” (Giosuè Carducci, vincitore del Nobel per la Letteratura nel 1906).
“Beata la nazione che al cader
di un suo figlio degno dell’immortalità, può proferire il detto dello Spartano:
Io ho molti figli grandi com’egli fu. Beata la nazione che onora gli illustri
perduti con l’educare altri illustri sulle loro tombe” (Giuseppe Mazzini).
Il Monti, però, non ebbe una
tomba e le sue ceneri andarono disperse. Concludiamo questa parte non
dimenticando la famosa quartina che Manzoni scrisse dopo la morte del Poeta:
Salve, o divino, a cui largì
natura
Il cor di Dante e del suo duca
il canto!
Questo fia il grido dell’età
futura;
Ma l’età che fu tua te ‘l dice
in pianto.
Ad maiora!
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