Tutti sono a conoscenza delle “vicissitudini critiche” di
Vincenzo Monti, vissuto in un periodo storico travagliato e segnato da eventi
politici profondi, quali la Rivoluzione francese, la Repubblica Cispadana, l’avvento
di Napoleone, la Restaurazione messa in atto dalla Santa Alleanza dopo il
Congresso di Vienna. L’uomo Monti – secondo quanto si legge in molte storie
della letteratura – si piegò a tutti gli avvenimenti divenendone di volta in
volta il cantore ufficiale. Da iperboliche esaltazioni si passa a condanne
assolute e profondo disprezzo, forse perché nel giudizio delle sue opere si
fonde, quando non è dominante, quello della sua vita (vi rimandiamo, a questo
proposito, all’articolo pubblicato il 9 giugno). Chi lo definisce poeta grande,
chi lo dice arcade vuoto e perduto (vale a dire sordo, arido e superfluo
rimatore di suoni inesistenti), chi lo celebra come Pater Patriae (Padre della
Patria), chi, infine, lo qualifica come strimpellatore. Vediamo, in sintesi,
alcuni dei giudizi più celebri sul poeta alfonsinese.
“… Ma tutto quello che spetta all’anima, al fuoco, all’affetto,
all’impeto vero e profondo, sia sublime, sia massimamente tenero, gli manca
affatto. Egli è un poeta veramente dell’orecchio, del cuore in nessun modo”
(Giacomo Leopardi).
“… La natura gli aveva largito le più alte qualità dell’artista:
forza, grazia, affetto, armonia, facilità e brio di produzione. Aggiungi la più
consumata abilità tecnica, un’assoluta padronanza della lingua e dell’elocuzione
poetica. Ma erano forze vuote, macchine potenti prive d’impulso. Mancava la
serietà di un contenuto profondamente meditato e sentito, mancava il carattere,
che è l’impulso morale. Pure i suoi lavori, soprattutto l’Iliade (N.B. la
traduzione del poema omerico da parte del Monti è, ancora oggi, considerata la
versione migliore. E pensate che Monti non conosceva il greco! Forse anche per
questo, Foscolo la definì “bella e infedele”), saranno sempre utili a studiarvi
i misteri dell’arte e le finezze della elocuzione” (Francesco De Sanctis).
“… Il Monti fu un ingegno più vario che non il Metastasio,
più pronto e ricco che non il Parini, più facile e vivo che l’Alfieri; seppe
rinnovare quel che di usuale e di utile restava nelle consuetudini dell’arte
italiana; seppe attingere con discernimento e con gusto alle letterature
straniere (…) Fu in somma il maggior poeta ecletticamente artistico che l’Italia
da gran tempo avesse avuto” (Giosuè Carducci, vincitore del Nobel per la
Letteratura nel 1906).
“Beata la nazione che al cader di un suo figlio degno dell’immortalità,
può proferire il detto dello Spartano: Io ho molti figli grandi com’egli fu.
Beata la nazione che onora gli illustri perduti con l’educare altri illustri
sulle loro tombe” (Giuseppe Mazzini).
Il Monti, però, non ebbe una tomba e le sue ceneri andarono
disperse. Concludiamo questa parte non dimenticando la famosa quartina che
Manzoni
scrisse dopo la morte del Poeta:
Salve, o divino, a cui largì natura
Il cor di Dante e del suo duca il canto!
Questo fia il grido dell’età futura;
Ma l’età che fu tua te ‘l dice in pianto.
Ad maiora!
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