Ormai ci siamo, la scuola sta per
riaprire i battenti ai ragazzi e a tutto il carrozzone che ne consegue. Gli
insegnanti, tuttavia, sono già impegnati nelle consuete attività propedeutiche
all’avvio dell’anno scolastico.
Come le buone tradizioni, anche
in questi giorni tornano alla ribalta discorsi già usurati al solo pensiero:
meno classi cosiddette “pollaio”, stipendi più alti per i docenti, più
costituzione, più ambiente, etc. Siamo impegnati in numerose riunioni di carattere
burocratico, spesso imposte da un farraginoso sistema ministeriale, necessarie
(?) al buon funzionamento delle cose. C’è tanto precariato, generato dalle
promesse – mai mantenute – dei nostri governanti; a volte manca una vera
preparazione digitale nel corpo docente e su questo ha ragione Milena
Gabanelli. Non si può innovare e rinnovare quando molti insegnanti non sono in
grado di adoperare un normalissimo programma di excel. Spendiamo molto tempo
nella redazione del P.T.O.F., del P.O.N., del C.L.I.L. … No, cari amici, non
sto impazzendo! La nomenclatura scolastica è un ginepraio irto di spine.
L’opinione pubblica ci denigra,
ci calpesta: noi siamo quelli che lavorano solamente la mattina, che godono di
tre mesi di ferie, che possono completare la loro giornata con numerose altre
attività, sia piacevoli che doverose, perché, tanto, hanno tempo da vendere.
Noi non ce l’abbiamo con le persone, che spesso non pensano, ma con la
politica: è inutile continuare, ad ogni cambio di governo, a pronunciare sempre
gli stessi proclami quando, alla fine, tutto cambia affinchè non cambi nulla!
Buon inizio di scuola a tutti con
un augurio: speriamo che finisca la retorica e che, finalmente, qualcosa si
muova. Non demonizziamo i metodi del passato, l’impostazione rigorosa che oggi,
da molti, è vista come retrograda e superata; cerchiamo di coniugarla con le
innovazioni, le nuove spinte di metodo. Non è impoverendo la scuola di
contenuti, arricchendola conseguentemente di europeizzazione didattica, che si
risolve il problema; al contrario dobbiamo riscoprire la grandezza della nostra
tradizione e – qui c’è la sfida – modellarla con le forme del nuovo che avanza.
Solo così, a nostro parere, si uscirà dal pantano.
Ad maiora!