La maggior parte delle iscrizioni romane sono, come detto, in pietra; nei
tempi più antichi furono usate anche pietre vulcaniche, calcari, importate da
Grecia, Egitto e Africa.
Naturalmente, ogni indagine
epigrafica ha necessità di una mappa delle cave sfruttate; i Romani
organizzarono uno sfruttamento intensivo delle cave tanto è vero che, presso le
grandi città, si formarono grandi depositi di marmo – merce di lusso –
impiegato nelle costruzioni e nelle decorazioni. La levigatura del blocco di
marmo avveniva nella “bottega epigrafica” che si trovava in città o nel suburbio (periferia).
Gli strumenti usati erano il
piccone, le ferulae (picchetti di
ferro per staccare i blocchi), i cunei in legno, gli scalpelli, punteruoli, graphia (strumenti a graffio), compassi
e squadre. Il trasporto dalle cave alle officine avveniva per mare, lagune o
fiumi; l’appalto dei trasporti toccava ai negotiatores
artis lapidariae (negoziatore dell’arte della pietra). Nella lavorazione,
il lapicida (sculptor o scriptor) si metteva semisdraiato oppure su una
impalcatura per tracciare il ductus (l’ordine
dei singoli elementi dell’iscrizione). Nel passaggio tra le varie fasi
dell’iscrizione, potevano accadere “errori”, indice del grado di cultura degli
operatori. A questo proposito, è di fondamentale importanza l’ordinatio, che non consisteva solo nel
disegno delle lettere, ma anche nel tracciato di linee orizzontali sulle quali
o dentro le quali si dovevano incidere le lettere (linee tracciate con una
punta sottile, col gesso o col carboncino). Gli errori più comuni
nell’incisione erano:
• errori o correzioni di semplici
lettere, magari per assonanza;
• per analfabetismo;
• per fraintendimento di lettere
(E e F) o per incomprensione di lettere (I,L,T) confuse con le linee di guida;
• lettere incise capovolte;
• scambio di lettere (es. posiut per posuit);
• lettere dimenticate e poi
inserite più tardi;
• correzioni che vogliono
migliorare l’originale.
Vanno ricordate infine le
iscrizioni musive - ad opera dello stesso mosaicista – che si inseriscono nel
quadro generale delle tessere del mosaico; queste iscrizioni si compivano domi (cioè in casa e non in officina).
Le abbreviazioni si chiamano siglae:
R(es) P(ublica)
DDDD NNNN D(omini) N(ostri) Q(uattuor) : quattro nostri padroni
Forse le abbreviazioni erano
dovute all’esigenza di risparmiare spazio e in virtù di quelle la lettura
dell’iscrizione era mnemonica (memorizzare i significati delle abbreviazioni).
Le iscrizioni funerarie erano
indicative di un tentativo di ricordare, anche dopo la morte, le persone;
queste epigrafi non erano solo prerogativa dei ricchi, ma anche dei poveri e
costituivano dei veri e propri nuclei familiari.
Es.
D.(is)M.(anibus) L.(ucius) Camillus Faustus vir
Aug(ustalis) viv(us)
fecit in anno LXX, vixit annis
LXXXXII.
Agli Dei Mani, Lucio Camillo
Fausto, uomo vivo al tempo di Augusto, fece (la lapide) nell’anno 70 (di età),
visse negli anni 92 (dopo Cristo, sotto l’imperatore Domiziano).
Inoltre ricordiamo dei cartelli
con elenco dei prigionieri, delle imprese, dei bottini.
Esistevano anche cartelli
satirici, polemici, di dissenso o di difficile comprensione, come I.N.R.I.
(Iesus Nazarenus Rex Iudearum).
L’immagine a cui era associata
questa scritta era quella di un pesce e i Romani non riuscivano a collegare la
figura dell’animale alla scritta, anche perché poteva apparire un’ulteriore
sigla (Iktzùs) che in greco significa
“pesce” ma, sciogliendo le abbreviazioni, ci troviamo di fronte ad una cosa
assai strana e eccezionalmente esatta pur nella sua apparente casualità: Iesùs Kristòs Tzeoù Uiòs Sotèr (Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore).
Per concludere, proponiamo alcuni esempi di scioglimento di
un’epigrafe, sperando di non avervi troppo annoiato.
D M
SEVERUS
SEXTI FIL
UXORI POS
Dis Manibus Severo, figlio di Sesto, pose
(questa lastra tombale) in
Severus onore degli Dei Mani alla
moglie
Sexti Filius
Uxori Posuit
HER M
V MET
Herculi Miles
Vivus Metellus Il soldato vivo Metello dedica
l’epigrafe
ad Ercole
Ad maiora!
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