Cari amici,
continuiamo la nostra breve rassegna sugli autori che troverete nell'antologia "Vivi nella parola. I sepolcri dei poeti romagnoli", edita da "L'arcolaio" e scritta da me e da Nevio Spadoni. Oggi parliamo di Olindo Guerrini, che non è soltanto poeta dialettale, ma uomo di grande cultura e formazione classica.
Con l’affermarsi, nella seconda metà
dell’Ottocento, del positivismo come concezione del mondo e del naturalismo
come canone dell’arte, nascono in letteratura la scientificità, l’impersonalità
e l’impiego di un linguaggio parlato dimesso che attinge molte parole dal
dialetto e dall’uso quotidiano, per poter presentare, con realtà e schiettezza,
il parlare dei personaggi. Il termine “realismo” viene usato a significare
soprattutto gli aspetti sporchi e deformi della realtà ed il suo elemento di
maggiore incisività è l’efficacia dell’evocazione, di cui il francese Baudelaire
esprime la cifra simbolica più vera. In Italia non esiste un momento di
contemporaneità a Baudelaire, ma un prima e un dopo; ritroviamo in Guerrini
questo realismo baudelairiano e la capacità di cogliere l’aspetto sensuale
della vita rivestendolo di eleganti forme, divenendo così un poeta prediletto
dal pubblico. La critica, tuttavia, non è tenera con Guerrini (vedi Croce, che
lo taccia di oscenità), mentre Carducci, nel periodo bolognese, spiega che le
liriche di Guerrini “non glorificavano la guerra civile, ma erano
un’ispirazione sociale, tradotta in versi per amore dell’arte”. Entrambi i
poeti alzano la bandiera contro le putredini cattoliche e romantiche, legati
entrambi alla realtà storica in cui vivono e da cui traggono i loro ideali.
Guerrini, eccellente latinista, si distingue, al di là degli strali della
critica (Croce e Flora), per la grandezza con cui traduce e recupera gli
immortali versi di Catullo (Odi et amo), di Orazio (Odi, libro I, n. 11), di
Baudelaire, Hugo, del Leopardi dei Canti (in comune: l’abbandono della donna
amata), di Byron e, naturalmente, di Carducci.
Ad maiora!
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