Cari amici,
per la nostra rubrica, in vista
della prima presentazione del libro, che avverrà alla sala Gulliver di
Alfonsine mercoledì 29 settembre alle ore 21, oggi parliamo di un altro autore
presente nella raccolta, Dino Campana.
Definito dai critici come un
visionario ed erede, in qualche modo, della tradizione simbolista francese, il
poeta vive un’esistenza tormentata e segnata dal soggiorno coatto in manicomio,
dal gennaio 1918 al 1932, anno della morte.
La lirica di Campana, confluita nella raccolta “Canti orfici”, punta a sconvolgere e a fulminare le coscienze, scagliando saette emotive che stordiscono il lettore. Amore e Morte, “Eros” e “Thànatos”, passione e dolore mescolati perfettamente nell’attrazione per Sibilla Aleramo, la sola donna che Campana, a modo proprio, amerà. “Dino, io e te ci siamo amati come non era possibile amarsi di più, come nessuno potrà mai amare di più”, scrive Sibilla in una lettera del febbraio 1917.
Campana, nell’ultimo verso dei “Canti orfici”, ci lascia il testamento
della sua vita che, secondo Carmelo Bene, uno dei massimi interpreti del poeta
di Marradi, è trascorsa tutta nel dolore e nel delirio, non solo in quei
quattordici anni di reclusione nel sanatorio. “Erano tutti avvolti e coperti col sangue del fanciullo”, chiosa
Campana: senza dubbio queste parole contengono l’amara riflessione su se
stesso, anima libera che paga, come vittima sacrificale del mondo, l’aver
cercato di toccare i più intimi segreti dell’uomo.
Ad maiora!
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