giovedì 17 novembre 2016

L'angolo letterario

Cari amici,
da oggi, a cadenza libera, inauguriamo una nuova rubrica, "L'angolo letterario". Ci piacerebbe alternare qualche recensione di romanzi della letteratura europea ad un excursus storico-letterario del mondo classico, latino in particolare. Ci proviamo.
Oggi, intanto, vi proponiamo la storia di Mastro Don Gesualdo, di Giovanni Verga. Una storia molto attuale.
Buona lettura!

Il celebre romanzo di Giovanni Verga ha una gestazione difficile: iniziato nel 1881, viene ripreso a metà del 1877 con ritmo serrato e pubblicato a puntate sulla Nuova Antologia. Il posto del Mastro Don Gesualdo nello svolgimento del ciclo dei Vinti è chiarito già nella prefazione dei Malavoglia là dove leggiamo che, soddisfatti i bisogni materiali, “...la ricerca diviene avidità di ricchezze e si incarnerà in un tipo borghese, Mastro Don Gesualdo, incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia...”. 
La vicenda è collocata nella prima metà dell’Ottocento - due gli avvenimenti storici che vi compaiono, i moti rivoluzionari del 1820 e del 1848 - ed è assai semplice e lineare. Gesualdo, dopo un’infanzia tribolata e da una giovinezza segnate da un lavoro inumano, raggiunge la ricchezza e sposa, per rendersi gradito ai nobili ed ai notabili della sua città, una nobile decaduta, Bianca Trao. In realtà il matrimonio è voluto dai parenti della fanciulla per porre riparo ad una avventura col cugino, il barone Rubiera. Ben presto Gesualdo comprende che il suo tentativo è miseramente fallito: i nuovi parenti non lo tengono in considerazione alcuna, i suoi familiari si sentono traditi (ma continuano a sfruttarlo), con la moglie e la figlia Isabella non esiste rapporto d’amore.

Il Mastro Don Gesualdo in una rappresentazione teatrale

Anzi proprio la figlia darà un colpo mortale al destino di Gesualdo; innamoratasi di un giovane squattrinato, Isabella fugge da casa. Il padre, per riparare all’accaduto, è obbligato a darla in moglie al Duca di Leyra, che non ama la fanciulla ma ambisce ad impadronirsi del patrimonio del suocero. Continuano le ostilità dei notabili nei suoi confronti, muore la moglie e si manifestano i primi sintomi di una male incurabile che gli rode lo stomaco. Il genero lo porta in palazzo a Palermo per farlo meglio curare, anche se in realtà è soprattutto preoccupato di controllarlo e di impedirgli di disporre liberamente delle ricchezze che gli restano. Qui Gesualdo trascorre gli ultimi anni della sua vita, ripensando ai vasti campi che gli rimangono (e che verranno dilapidati dal genero) e desidera inutilmente un rapporto finalmente affettivo ed intimo con la figlia. E una notte muore “tra l’indifferenza e i lazzi della servitù”.
Emerge dalla lettura un messaggio piuttosto chiaro: l’arrampicata sociale costa lacrime e sangue, la ricchezza non basta a mutare stato. La sfida forsennata per uscire dal “cerchio” naufraga miseramente in quanto s destinata ad un a inevitabile e “necessaria sconfitta” che reca comunque in sé una dimensione di solennità e di tragica dignità. Quel pessimismo che percorre l’altro grande romanzo verghiano, i Malavoglia, si incupisce ancora di più. Se Alessi e la Nunziata riescono a riscattare la “casa del nespolo” trovando un punto d’approdo per chi resta tenacemente fedele alle leggi della casa e del lavoro, nel Mastro Don Gesualdo non c’è speranza alcuna e la legge della economicità pura finisce per divorare i propri figli.

Il busto di Verga. Giardino Bellini (Catania)

Il romanzo si può “...anche leggere come paradigma e figura della condizione umana e del lavoro di Sisifo in cui essa si risolve. Si tratta comunque di un approdo senza sbocco alcuno: a chi vi era pervenuto non restava che il silenzio” (Salvatore Guglielmino).



Giovanni Verga - Mastro Don Gesualdo, Mursia, Milano, 1987.

Ad maiora!

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