mercoledì 18 gennaio 2017

Olindo Guerrini: in sella verso il '900.

Cari amici,
pubbichiamo ora il testo integrale dell'intervento da noi tenuto venerdì 13 gennaio alla serata nazionale del Liceo Classico, iniziativa che ha coinvolto ben 367 istituti liceali in tutta Italia. Nel nostro piccolo abbiamo voluto dare un contributo alla realizzazione dell'evento presso la scuola in cui volentieri lavoriamo, il Liceo "Ricci - Curbastro" con annessa sezione classica "Trisi - Graziani" di Lugo.
Buona lettura.



Definire Olindo Guerrini soltanto poeta dialettale è certamente riduttivo e non rende merito ad un uomo di grande cultura e formazione classica. Questa sera parleremo del rapporto fra Guerrini e la bicicletta, ma prima ci piace, vista l'occasione in cui ci troviamo, fare qualche breve cenno al patrimonio umanistico che Stecchetti, il nome in Parnaso scelto dal poeta, porta con sé. Con l'affermarsi, nella seconda metà dell'Ottocento, del positivismo come concezione del mondo e del naturalismo come canone dell'arte, nascono in letteratura la scientificità, l'impersonalità e l'impiego di un linguaggio parlato dimesso che attinge molte parole dal dialetto e dall'uso quotidiano, per poter presentare, con realtà e schiettezza, il parlare dei personaggi. Il termine realismo viene usato a significare soprattutto gli aspetti sporchi e deformi della realtà ed il suo elemento di maggiore incisività è l'efficacia dell'evocazione, di cui il francese Baudelaire esprime la cifra simbolica più vera. In Italia non esiste un momento di contemporaneità a Baudelaire, ma un prima e un dopo; ritroviamo in Guerrini questo realismo baudelairiano e la capacità di cogliere l'aspetto sensuale della vita rivestendolo di eleganti forme, divenendo così un poeta prediletto dal pubblico. La critica, tuttavia, non è tenera con Guerrini (vedi Croce, che lo taccia di oscenità), mentre Carducci, nel periodo bolognese, spiega che le liriche di Guerrini non glorificavano la guerra civile, ma erano un'ispirazione sociale, tradotta in versi per amore dell'arte. Entrambi i poeti alzano la bandiera contro le putredini cattoliche e romantiche, legati entrambi alla realtà storica in cui vivono e da cui traggono i loro ideali. Guerrini, eccellente latinista, si distingue, al di là degli strali della critica (Croce e Flora), per la grandezza con cui traduce e recupera gli immortali versi di Catullo (Odi et amo), di Orazio (Odi, libro I, n. 11), di Baudelaire, Hugo, del Leopardi dei Canti (in comune: l'abbandono della donna amata), di Byron e, naturalmente, di Carducci.
Oggi, però, siamo qui per parlare della terra del poeta, di quella Romagna che, a cavallo fra vecchio e nuovo, arretratezza e progresso, vive la grande fase della bicicletta. 



La Romagna è, nel periodo verista, un paese in ebollizione: prorompono le idee socialiste, le lotte, gli scioperi e le masse iniziano gradualmente a prendere coscienza della loro posizione. La bicicletta, o bicyclula, come scrive nel suo poemetto del 1899 Luigi Graziani, a cui è intitolato il nostro Liceo Classico, nasce come mezzo borghese, per pochi, mentre la massa si deve arrangiare con i CÔSP (gli zoccoli) ai piedi, per poi diventare quello strumento possente, veloce ed agile che permetterà anche ai più umili di buttarsi a capofitto nel secolo breve, il '900. Dell'amore per la bicicletta da parte di Olindo Guerrini troviamo espressione in molte parti delle sue poesie, soprattutto in quella che oggi pare la più schietta e genuina, i Sonetti romagnoli, tra l'altro editi postumi dal figlio Guido. I Sonetti, nati senza uno schema prefissato, tratteggiano personaggi tipici della Ravenna di fine 800, le osterie, la forte carica anticlericale e un ciclo di poesie, denominate "E' viazz", in cui il poeta compie la descrizione del suo giro d'Italia in bicicletta , a cavallo fra la fine dell'800 e l'inizio del XX^ secolo: da Ravenna al Monte Rosa e poi, attraversando tutto il Nord del Paese, fino a Trieste e infine il ritorno a Ravenna. La bicicletta, quindi, non è soltanto un mezzo di locomozione, ma rappresenta l'ingresso del ceto medio-basso nel mondo moderno, il lasciapassare verso luoghi, angoli, realtà ancora sconosciuti. Guerrini sa cogliere i dettagli di questo cambiamento e li traduce in un linguaggio diretto e ricco, allo stesso tempo, di ricercatezza e sagacia. Di qui la scelta del dialetto che, nei primi anni del Novecento, è oggetto di aspre polemiche fra i linguisti; Guerrini sa coglierne il ruolo fondamentale per la sua espressività, perché più vivo dell'italiano, ha una su struttura, una sua dinamica interna e subisce trasformazioni notevoli che vanno di pari passo con l'evoluzione del mondo culturale che rappresenta, senza lirismi e slanci voluttuosi, ma in modo pratico e misurato. Per chiudere il nostro intervento, ci fa piacere leggere uno dei 51 sonetti de "E' viazz", intitolato "Bulogna", visitata dal poeta e dai suoi amici non per San Petronio o le due Torri, come farebbero tutti, ma per un altro motivo, per dir così, più appetitoso...

BULOGNA

Donca, par fela curta, una matena
Int'e' fe d'l'elba, quand ch'e' canta e' gall,
As lassessom Ravenna dri dal spall
E vi, d'batuda, par la strè Fantena.
E vers a San Michil, dri da la schena
E' sol a poch a poch e' dvinté zall,
E zo pr'e' God e par Bagnacaval,
Par Lug e par la Massa e par Midsena.
Ecco Bologna! Finalment ai sè! Ecco al mura, la porta, i tram e tott...
«Gnente di dazio?» - Un cazz! - Hoia dett ben?
Al do Torr? San Petroni? Chi s'n'infott!
Nò a curessom ai Quattar Piligren
A magnè al parpadell cun e' parsott.

Ad maiora!

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