martedì 22 settembre 2015

Se vuoi la pace prepara la guerra. Roma e il Mediterraneo (Seconda parte).



Expende Hannibalem: quot libras in duce summo invenies? (Trad.: Pesa le ceneri di Annibale: quante libbre troverai tu che restano di questo sommo generale?).
“Questa è la domanda che Giovenale, un autore di satire ostile ad ogni umana grandezza, pone in modo provocatorio ad un ipotetico interlocutore. Il peso delle ceneri, circa tre secoli dopo la morte di Annibale, il grande generale cartaginese, doveva essere minimo; ma era, ed è, enorme il peso della fama, il peso che la figura di Annibale ha avuto sulla bilancia della storia”.[1]
Ci piace citare queste parole dell’eccellente Prof. Brizzi, nostro maestro di Storia romana all’Università di Bologna, per addentrarci tra le pieghe della Seconda Guerra Punica, che ha visto affrontarsi, fra il 218 ed il 202 a.C., i Romani ed i Cartaginesi.
Annibale Barca, eroe che riunisce in sé razionalità ed audacia, viene addestrato alla guerra dallo spartano Sosilo; sappiamo, infatti, come i guerrieri di Sparta fossero abilissimi nell’arte militare. Il condottiero cartaginese, avendo a disposizione contingenti armati eterogenei, si accorge di quanto sia importante sfruttare le caratteristiche delle diverse etnie: la parte punica, più adatta a combattere secondo le tattiche oplitiche, viene allenata alla coesione ed al mantenimento di fila serrate, mentre la componente libica, tanto per citarne una, è più portata allo scontro individuale. Annibale, allora, fornisce a quest’ultima come mezzo di lotta non la spada, ma la picca (arma con punta metallica montata su un’asta di frassino e lunga fra i 4 ed i 6 metri). L’impresa che i Cartaginesi sperano di compiere è proibitiva: vendicare la sconfitta subita da Roma nel primo conflitto punico e farlo in casa del nemico! Annibale parte dalla Spagna, dove si trova la base dei Punici, e giunge in Italia con 50mila fanti e 9mila cavalieri: a ridosso del Ticino costringe alla ritirata le truppe romane di Scipione (il padre del famoso Scipione l’Africano), mentre S. Longo, ingannato da un finto attacco nemico, cade in trappola vicino al Trebbia ed il suo esercito è travolto.





Roma, nonostante queste prime delusioni, resiste, anche perché i popoli dell’Appennino sono fedeli scudieri dell’Urbe. La Repubblica, a questo punto, corre ai ripari e nomina un dittatore, il Cunctator Quinto Fabio Massimo che, per la sua strategia volta a logorare il nemico, verrà soprannominato “Il temporeggiatore”. Questa tattica, però, non porta giovamento a Roma, tant’è vero che Annibale vince ancora, questa volta a Canne, in Puglia (216 a.C.). 







E’ proprio vero che, a volte, dalle grandi sconfitte si impara a vincere…               I Romani, infatti, capiscono che non ha senso affrontare il nemico in battaglie campali, dove Annibale è più forte, ma che lo si deve sfiancare con piccoli scontri. Nel 205 Annibale viene accerchiato a Crotone dalle truppe di P.C. Scipione e nel 203 è costretto a lasciare l’Italia per tornare in Africa, dove era da poco giunto lo stesso Scipione. Lo scontro fra i due grandi generali è inevitabile: nel 202, sul campo di Naraggara (meglio noto come Zama), nell’odierna Tunisia, nonostante la classe e il genio di Annibale, la superiorità di forze e di equipaggiamenti romani e l’aiuto decisivo della cavalleria di Massinissa, re di Numidia, porta il trionfo a Roma. Per la portata dell’impresa, Scipione assume il soprannome di “Africano”.







E’, così, inferto il secondo colpo mortale a Cartagine, ormai vicina al tracollo e sempre meno padrona del Mediterraneo. Annibale, riconosciuto dai Romani come valoroso condottiero, viene lasciato libero e decide di andare in esilio volontario girovagando in vari luoghi e finendo i suoi giorni in Bitinia. Lì, complice la presenza romana, il generale cartaginese, per non rischiare di diventare un trofeo da esporre al Campidoglio, decide di togliersi la vita bevendo sangue di bue, un veleno da lui conservato da molto tempo in un anello.

Ad maiora!


[1] G. BRIZZI, Annibale, cento minuti, Rai-Eri, 2000.

martedì 15 settembre 2015

Bere i nostri aperitivi fa bene! Ecco i primi tre!

Come promesso sulla nostra pagina FB, riprendiamo i tre motti dell'aperitivo etimologico e li riproponiamo insieme, da gustare in un unico sorso! 



APERITIVO ETIMOLOGICO 1
MEMENTO AUDERE SEMPER
Ricorda di osare sempre (Motto di Gabriele D’Annunzio)
Questo detto fu coniato da D’Annunzio in occasione della “beffa di Buccari” (l’incursione militare italiana a Bakar, in Croazia, del febbraio 1918, a cui partecipò lo stesso poeta pescarese, divenuto successivamente l’eroe della conquista di Fiume) e costituisce il credo della sua vita e di quella della sua generazione. Per la presenza dell’imperativo iniziale “Memento”, appunto “Ricorda”, tipico del linguaggio giuridico, è diffusa l’opinione che si tratti di un motto antico ripreso dal poeta, anche se, in realtà, lui stesso ha raccontato di averlo inventato sciogliendo così la sigla dei motoscafi da guerra MAS (Motoscafi Armati Siluranti).
La massima dannunziana, imponente e di color rosso acceso, è impressa su un muro del Vittoriale, la casa sul lago di Garda nella quale D’Annunzio visse fra il 1921 ed il 1938, anno della morte.





APERITIVO ETIMOLOGICO2
ᴨάντα ῥεῖ
Tutto scorre (Eraclito)
Questa espressione, che condensa il nucleo del pensiero di Eraclito, antico filosofo greco del VI – V secolo a.C., esprime l’idea secondo la quale la realtà è un continuo divenire e nulla è mai identico a se stesso. Per capire meglio il concetto pensiamo ad un fiume, in cui è impossibile bagnarsi due volte nella stessa acqua.
Oggi il motto, pur restando famosissimo, è passato ad indicare un po’ banalmente che “il tempo passa”. 





APERITIVO ETIMOLOGICO 3
SURSUM CORDA! (Liturgia cattolica)
In alto i cuori
Per chi è abituato a frequentare la Messa, il sacerdote pronuncia questa frase, a cui l’assemblea risponde: “Sono rivolti al Signore!”. Si tratta, quindi, di un’esortazione a rivolgere il cuore a Dio.
Fuori dal contesto, però, Sursum corda costituisce piuttosto una formula di incoraggiamento, un invito a risollevarsi dopo una difficoltà o una sconfitta.
Con questo motto ci rivolgiamo a tutti i bambini, ragazzi e, naturalmente, anche agli insegnanti che, da domani mattina, saranno di nuovo in classe… Sursum corda!!!





Ad maiora!



martedì 8 settembre 2015

Se vuoi la pace prepara la guerra. Roma e il Mediterraneo (Prima parte).



Che cosa troviamo alle origini della nostra civiltà? Quando le vie del commercio e degli affari si sono aperte al di là del Mediterraneo? Il seme dell’Europa da chi è stato piantato?
Si tratta di domande a cui è molto facile dare una risposta, almeno alle prime due. Potremmo parlare dei greci, di quando il lavoro nell’Ellade non c’era per tutti ed allora in molti decisero di migrare in Italia, fondando la Magna Grecia, trasferendo in quella che, secondo l’etimologia, era la “terra dei vitelli” il sapere, l’arte e la scienza. E’ chiaro, tuttavia, che un impulso forte e decisivo nello sviluppo del territorio italico e, naturalmente, di quello che bacia le acque dei nostri mari è stato dato da Roma e dal suo espansionismo nel bacino del Mediterraneo ed oltre.








Partiremo, nel nostro viaggio, parlando delle guerre puniche, per molti di noi lontano e quasi invisibile ricordo di scuola, ma a nostro giudizio momento fondamentale di questo percorso. Oggi affrontiamo la Prima.
La colonizzazione fenicia dell’Occidente è dettata, secondo gli storici, in particolare Diodoro Siculo, dalla presenza di metalli pregiati. Cosa c’entrano i fenici, pensate? Beh, i fenici sono i nonni dei cartaginesi: infatti il termine “punico”, sinonimo di “cartaginese”, deriva da “phoenix”, fenici appunto. Sono stati loro, tra l’altro, ad adottare per primi la scrittura fonetica, fondamentale antenata della nostra.
Ma torniamo a noi. Pare che la presenza dei fenici nel Mediterraneo risalga all’VIII secolo a.C. e ciò ha indotto a supporre l’esistenza di una fase preliminare detta di “precolonizzazione”, dalla Grecia a Pantelleria fino alla Sicilia.
Cartagine, “città nuova”, fondata da Elissa (Didone) conosce per un breve periodo la monarchia, lasciando poi spazio all’oligarchia mercantile; dal punto di vista militare la comunità punica si ispira a modelli ellenici, introducendo formazioni di opliti (i mitici soldati dallo scudo circolare, in greco “oplos”) e falangiti. La flotta, straordinaria ed imponente, dispone di quadriremi e quinqueremi (nelle ricostruzioni sottostanti, navi con quattro e cinque file di rematori).


 










Com’erano stati, fino al III secolo, i rapporti con Roma? Certamente ottimi. Ma è dalla Sicilia, zona strategica per il commercio marittimo, che proviene il motivo dello scontro fra le due potenze. Per quale causa specifica? La città di Messina, messa sotto assedio dai Mamertini, chiede l’aiuto sia di Roma che di Cartagine; intervengono per primi i romani, liberando la città dello Stretto ed armando l’ira dei cartaginesi, che si sentivano, in un certo senso, titolari e dominatori della Sicilia. Lo scontro, a questo punto, diviene inevitabile. Nel 260 a.C. i romani, guidati da Duilio, sconfiggono i punici nelle acque di Milazzo e nel 257 i consoli Manlio e Regolo, alla testa di 230 navi, affrontano e sconfiggono i 250 vascelli nemici guidati da Amilcare a Capo Ecnomo, a sud della Sicilia. La strada per l’Africa sembra spianata, ma la presunzione dei romani porta ad una ripresa, seppur parziale, della resistenza nemica. Anche la Sicilia rischia di sfuggire di mano ai soldati di Roma, per merito (o causa) di Amilcare Barca, il padre del più celebre Annibale, molto abile ad occupare Palermo e Trapani. Per oltre sei lunghi anni i romani sono costretti a sopportare vere e proprie umiliazioni militari via terra, prima di capire che le sorti del conflitto devono essere risolte per mare. Il governo promette ai cittadini con reddito grandi ricompense in denaro se avessero partecipato “volontariamente” al conflitto; con ulteriori 200 navi la flotta romana sorprende i cartaginesi presso le isole Egadi e li sconfigge. Finisce così la Prima Guerra Punica (264-241 a.C.), che sancisce, almeno temporaneamente, il controllo romano sul Mediterraneo. E’ ancora presto, però, per pensare alla colonizzazione del nord Africa: sta per spuntare all’orizzonte, minacciosa e maestosa, l’ingombrante ombra di Annibale…

Ad maiora!