mercoledì 30 dicembre 2015

Eccovi un poker di aperitivi!

Cari amici lettori, finalmente da oggi posso contare di nuovo sul PC! E che PC!
Lo inauguro subito pubblicando quattro aperitivi, fino ad ora visibili solo sulla pagina Facebook del blog!

Ad maiora!


QUI PRO QUO

Una cosa per l’altra (detto proverbiale).

Questa espressione, di origine ignota anche se probabilmente legata alla filosofia scolastica medioevale, deriva forse dalla “corruzione” popolare di qualche altro modo di dire, dato che nell’attuale formulazione non ha alcun significato (infatti la sua traduzione letterale sarebbe:” il quale per il quale”. E’ probabile che il primo pronome fosse in origine un quis o un quid, dando come traduzione o “quale cosa al posto di un’altra” oppure “chi al posto di chi”. Comunque la formula gode ancora oggi di grande popolarità tanto da venire considerata alla stregua di un sostantivo (“il quiproquo”, “un quiproquo”), che è sinonimo di equivoco. Nel mondo anglosassone invece ha assunto il significato di scambio, di una cosa in cambio dell’altra.


CLAVO CLAVUM EICERE (Proverbio)
Chiodo scaccia chiodo (Lett.: scacciare un chiodo con un altro chiodo)
Si tratta di una locuzione che, in origine, designa solo la comodità di scacciare un male con un rimedio simile (si potrebbe anche utilizzare il detto, mutuato dalla medicina omeopatica, “similia similibus curantibus”, vale a dire “il simile si cura con il simile”); la metafora è ancora viva nella nostra lingua, dove però si applica soprattutto all’ambito erotico, dato che “chiodo scaccia chiodo” è quasi sempre un’esortazione a dimenticare un amore cercandone un altro.

SEMPER BONUS HOMO TIRO EST (Marziale, Epigrammi, XII, 51, 2)
L’uomo buono è sempre un pivello...
Il “tiro” era la recluta dell’esercito romano. Dal linguaggio militare il termine è poi passato ad indicare qualsiasi principiante, esordiente o novellino. Concetti simili a questo espresso da Marziale sono presenti in tutte le lingue. In italiano, ad esempio, si può dire “troppo buono, troppo minchione!”.

NON IN SOLO PANE VIVIT HOMO
Non di solo pane vive l'uomo (Deuteronomio, 8, 3; Matteo, 4, 4)...
Celebre soprattutto per la sua presenza nel Vangelo (dove Gesù la pronuncia in risposta alle tentazioni del Demonio nel deserto), la massima acquista significato da ciò che segue: "ma di ogni parola che provenga dalla bocca di Dio". Quindi si tratta di un'esortazione a preoccuparsi della vita spirituale prima che delle necessità materiali. E di questo, soprattutto oggi che è Natale, spesso ce ne dimentichiamo.

Buona degustazione!
Ci sentiamo l'anno prossimo!

 

sabato 28 novembre 2015

La cultura greca alla base della nostra civiltà (Prima parte)



Oggi iniziamo un viaggio all’interno del mondo greco, del quale cercheremo di cogliere gli aspetti più significativi della storia, della letteratura e della morale. Molti giovani ritengono superfluo lo studio dei classici, toppando in pieno! E’ dal recupero delle nostre radici, infatti, che possiamo intraprendere un percorso di crescita e consapevolezza di quei valori che, a causa di molteplici fattori, si stanno perdendo. 



Perché, allora, dobbiamo studiare la letteratura greca? I Greci sono il perno della nostra identità culturale e si fondono con il nostro patrimonio passato e presente. Perdere i Greci significa abbandonare noi stessi. Un altro aspetto rilevante è quello per cui il mondo ellenico ci ha insegnato il primato della parola attraverso la conoscenza della sua lingua. Il greco è un idioma di origine indoeuropea (l’indeuropeo sarebbe nato nella zona euro-asiatica del Caucaso) sviluppatosi verso il 1900 a.C. quando nel continente greco si verifica una fusione con i Pelasgi, gli abitanti del posto. Nel frattempo l’isola di Creta sviluppa una sua cultura grazie alla civiltà minoica (quella di Minosse, del mito del Minotauro, dei grandi palazzi, ecc.) che però, nel 1450 a.C., viene distrutta da quella micenea o achea. Gli Achei, dopo aver conquistato l’isola, diffondono la lingua greca e la scrittura detta “Lineare B”, un sistema sillabico con circa 90 segni (ognuno di essi corrisponde ad una sillaba e ci sono molti ideogrammi). La futura scrittura greca, sviluppo di quella achea, sarà alfabetica e comprenderà 24 segni da Alfa (α) ad Omega (ω). Attorno al 1200 a.C. la civiltà micenea scompare sotto i colpi dei Dori, che invadono la Grecia del Nord ed il Peloponneso. Nascono, così, quattro aree linguistiche:
-    area eolica: comprende le popolazioni della Tessaglia e della Beozia; 
-  area ionica: include le genti delle Cicladi e delle coste mediane dell’Asia Minore;
          -  area dorica: Grecia settentrionale e Peloponneso;
-    area arcado-cipriota: popolazioni dell’Arcadia, di Argo, della Laconia.


 
Dopo questa contaminazione, nota alla storia come “Prima colonizzazione”, seguiranno alcuni secoli bui, vale a dire il cosiddetto “Medioevo ellenico”, che termineranno nell’VIII secolo a.C., data simbolo di una nuova migrazione, questa volta verso Occidente, e della nascita della Polis, il sistema di città-stato tipico dell’antica Grecia.
Dimenticavamo un piccolo dettaglio: la guerra di Troia ed i poemi omerici. Ma di questo parleremo la prossima volta.

Ad maiora!

mercoledì 11 novembre 2015

NOMEN - OMEN: DIETRO UN NOME C’E’ SEMPRE UN DESTINO …



Oggi, cari amici, affrontiamo un tema antico e moderno allo stesso tempo, soprattutto per cercare di arginare l’esterofilia dilagante dei Kevin e delle Hilary. E, per farlo, chiediamo aiuto ai nostri padri, i Romani.
Nell’antica Roma, infatti, l’appartenenza ad un gruppo familiare è molto rilevante ed il fortissimo legame fra l’individuo, la sua famiglia ristretta e la GENS, ovvero l’insieme dei parenti discesi da un unico capostipite, è rispecchiato dal sistema onomastico, vale a dire dal modo in cui i Romani chiamano se stessi. Come in tutte le società del passato, però, i maschi prevalgono sulle femmine: i primi hanno minimo tre nomi (ma a volte anche cinque o sei!), mentre le puellae (le ragazze) soltanto uno, ovvero quello gentilizio del padre volto al femminile, come Iulia da Iulius, oppure un diminutivo, vedi Lucilla da Lucius.
Ma torniamo agli uomini e vediamo di quali parti si compone il nome di un antico Civis Romanus:

-     Praenomen (Prenome): viene scelto tra una ventina di nomi sempre uguali come Lucio, Publio,  Marco, Tiberio, Caio (o Gaio), etc. In famiglia, ad esempio, le persone venivano sempre chiamate con il praenomen (ricordiamo Calpurnia, ultima moglie di Caio Giulio Cesare, solita chiamare il marito Gaius).



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           Nomen (Nome): indica la GENS, ovvero la famiglia, alla quale il personaggio appartiene. Fra le GENTES più illustri e più antiche ricordiamo la Gens Cornelia, la Gens Iulia, la Gens Claudia, etc.
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          Cognomen (Cognome o Soprannome): nasce, in origine, come epiteto legato o a qualche impresa oppure, più spesso, a caratteristiche personali. Molto noti sono gli esempi legati a Cicerone, il celeberrimo oratore arpinate (Arpino è un comune in provincia di Frosinone) ed all’Imperatore Caligola. Vediamoli insieme:

MARCUS       TULLIUS     CICERO (Trad.: Cicerone)
Prenome      Nome         Cognome/Soprannome
L’oratore latino aveva un leggero difetto fisico, vale a dire un cicer, una sorta di escrescenza a forma di cece visibile sul viso. Da qui, quindi, il cognomen Cicerone.

GAIUS          IULIUS (CAESAR GERMANICUS)    CALIGULA
Prenome                        Nome                             Cognome/Soprannome
Imperatore dissennato, folle e, a modo suo, originale (ricordiamo, infatti, che nominò senatore INCITATUS, il suo cavallo!); era soprannominato appunto Caligula (Caligola) per l’abitudine, in gioventù, di indossare sempre le caligae, ovvero i sandali militari.

-      Supernomina (Soprannomi particolari): vengono attribuiti ad un singolo individuo e non sono ereditati dai suoi figli, ma risultano per lo più legati al compimento di imprese eroiche. Citiamo l’esempio di Publio Cornelio Scipione, il vincitore di Annibale a Zama (ricordate il post di fine settembre sulla Seconda Guerra Punica?) e insignito del soprannome onorifico di Africanus in quanto proprio in Africa aveva sconfitto il generale cartaginese.   
All’epoca si dava molta importanza al nome, a volte coprendo cognomi o soprannomi ridicoli, in altri casi cambiandoli per vantare antenati illustri. Nel primo caso ricordiamo Catilina, l’uomo che voleva rovesciare la Repubblica, il cui cognome significa “carne di cane”; oppure il dittatore Silla, “pelle di porco”, per la sua carnagione rosata,  o anche il grande poeta Quinto Orazio Flacco: quest’ultimo termine significa dai “grandi orecchi”.  



Insomma, giunti al termine del nostro breve discorso sui nomi riusciamo forse a comprendere meglio perché, dietro ad ognuno di noi, sia celato qualcosa di magico e misterioso che rispecchia, in qualche modo, anche se sottile ed impercettibile, la nostra personalità.  
Nomen – Omen, appunto.

 
Ad maiora!

mercoledì 4 novembre 2015

Ecco servito il tris di aperitivi!

Come consuetudine, pubblichiamo gli ultimi tre motti del mese di ottobre da bere, naturalmente, tutti in un sorso!



APERITIVO ETIMOLOGICO

Ipse dixit!

L’ha detto lui (motto dei discepoli di Pitagora)
Con questa frase gli allievi di Pitagora, celebre filosofo greco del VI secolo a.C., rinforzavano le loro affermazioni sulla base dell’autorità del maestro; come dire… “L’ha detto lui, quindi è vero!”. Già nel mondo antico, tuttavia, questa espressione la si ripeteva con ironia per sottolineare un atteggiamento di totale accettazione di un principio non vagliato né confutato. Essere creduloni, per dirla alla buona, conveniva, secondo il pensiero di molti. Oggi il motto pitagorico è usato anche per sottolineare l’assurdità di un’affermazione e per confermare che la si sta citando fedelmente. 






APERITIVO ETIMOLOGICO

Veni, vidi, vici.

Sono arrivato, ho visto, ho vinto (Svetonio, Vita di Cesare, 37,2)

Sono le parole con cui Cesare annunciò la vittoria su Farnace nel 47 a.C. o  affidandole ad un messaggero che le portasse a Roma, secondo il racconto di Plutarco, oppure scrivendole sulle insegne fatte sfilare durante il trionfo, secondo la versione di Svetonio. La frase ha goduto di enorme fortuna, dovuta anche al suo stile telegrafico ed all’effetto dell’allitterazione (ovvero della ripetizione, ricercata o spontanea, di lettere o più sillabe in una serie di due o più vocaboli) tra i tre verbi ed è ancora usata, ironicamente, per raccontare un successo molto più facile del previsto.






APERITIVO ETIMOLOGICO

 UBI MAIOR, MINOR CESSAT

Dove c’è il superiore, l’inferiore si ritira (Proverbio)
Nella forma latina, questo proverbio si riferisce a rapporti fra potenti, alludendo alla necessità di rispettare la scala gerarchica. La frase è rimasta nella lingua originale ed è ancora oggi molto diffusa a livello popolare, ma ha finito per riferirsi a fatti o doveri, indicando che quando si presenta una necessità più incalzante, quella meno importante passa in secondo piano. Spesso la si cita solo parzialmente, abbreviandola in “Ubi maior…”.



Ad maiora!