giovedì 24 aprile 2025

SULL’ESARCA ISAACIO E LA PRESENZA ARMENA A RAVENNA

Pubblichiamo l'interessante approfondimento su un tema poco noto ai più: il genocidio armeno. Il 24 aprile 1915, infatti, iniziò la più grande dispersione di questo popolo che, da quel giorno, fu costretto a vagare in tante parti del mondo, Italia compresa.

Ma la storia inizia molto prima, vale a dire nell'Alto Medioevo, quando anche Ravenna fu governata da politici, i cosiddetti "esarchi", di origine armena...

Ringraziamo per questo contributo Gabriele Giovannini, giovane studente laureando in Storia medievale e appassionato della cultura dell'Armenia. 24enne di Massa Lombarda, Gabriele è entrato a far parte della squadra dei nostri collaboratori e lo fa con un approfondimento davvero pregevole.

Buona lettura!


di Gabriele Giovannini

La formazione di una presenza armena in Italia si fa generalmente risalire al 1915, data che segna l’inizio del genocidio armeno e della grande diaspora di cui è stato protagonista questo popolo. I tragici eventi intercorsi tra il 1915 e il 1923 hanno provocato una dispersione forzata degli armeni verso altri territori e sono stati cruciali nella creazione di molteplici e consistenti comunità nei più disparati angoli del mondo. Volgendo lo sguardo più indietro nel tempo, tuttavia, si può notare come il popolo armeno sia sempre stato contraddistinto da una grande mobilità. Ci sono nazioni, infatti, in cui la presenza armena è documentata fin da secoli ben precedenti al Novecento. Come testimoniano le fonti, dall’ XI secolo in poi abbiamo notizia dell’esistenza di vere e proprie colonie nel Vicino Oriente, ma anche in Europa e, con l’avvento della modernità, si attesta la presenza di insediamenti persino in India e nell’Estremo Oriente.

Per quanto riguarda l’Italia che, insieme a Francia e Spagna, figura tra le principali destinazioni europee, il primo significativo passaggio di genti armene risale all’alto medioevo. Nelle sue immediate manifestazioni non si tratta di un fenomeno omogeneo e continuativo e, stando alle fonti, i primi contatti sono documentati, in realtà, già in età imperiale. Tra queste interazioni è emblematica la visita a Roma del re armeno Tiridate I (Trdat in armeno) della dinastia arsacide, su invito dell’imperatore Nerone. Questo evento rimane, tuttavia, molto diverso rispetto al fenomeno che andrà diffondendosi nei secoli successivi. I contatti, infatti, si intensificano decisamente solo a partire dalla guerra greco-gotica (535-553), che porterà al rientro della Prefettura d’Italia sotto il dominio romano-orientale e, nell’ultimo ventennio del VI secolo, alla creazione dell’esarcato con capitale Ravenna. Il primo a reggere la città fu proprio un generale bizantino di origine armena, Narsete (Nerses), che era sbarcato in Italia per sconfiggere gli Ostrogoti e completare l’opera iniziata nel 535 da Belisario.

Meno conosciuto di Narsete è invece l’esarca Isaacio, del quale ci lasciano testimonianza – in aggiunta alle fonti letterarie – il suo sarcofago e la relativa epigrafe. Questo monumento funebre marmoreo è oggi conservato presso la Basilica di San Vitale a Ravenna ed è quello meglio conservato tra gli esemplari dello stesso periodo. 

Il sarcofago di Isaacio in San Vitale (Ravenna)

Il visitatore che non ne conosca già la storia è difficile che vi si soffermi durante la visita dello splendido sito musivo, ma si tratta sicuramente di un elemento poco noto e interessante da conoscere. L’epigrafe in greco presente sul sargofago di Isaacio, caduto nella battaglia dello Scultenna contro l’esercito del re longobardo Rotari (643), ci permette di conoscere meglio questa figura. L’iscrizione, infatti, si connota come una fonte di grande importanza per la ricostruzione di alcuni tratti biografici dell’esarca e, più in generale, sull’importanza dell’elemento armeno all’interno del contesto bizantino. La traduzione letterale mette in luce i tratti distintivi del personaggio:

1. Qui giace colui che fu valorosamente stratego custodendo inviolati Roma ed il Ponente

2. per tre volte sei anni ai sereni signori, Isaacio, l’alleato degli imperatori,

3. il grande ornamento di tutta l’Armenia; costui era infatti armeno e di nobile stirpe.

4. Essendo morto gloriosamente, la casta moglie Susanna, alla maniera di una venerabile tortora

5. geme incessantemente, essendo stata privata del marito, un uomo che ottenne fama dalle fatiche

6. nel Levante e nel Ponente; comandò infatti l’esercito di Ponente e d’Oriente.


Il testo greco dell'epigrafe sul coperchio del sarcofago

È importante aggiungere che, in virtù delle parole e dei titoli con cui viene appellato, è stato possibile ipotizzare che Isaacio fosse un nakharar, il principe (in italiano il termine armeno può essere tradotto anche “signore”) di una delle più potenti famiglie armene del tempo, quella dei Kamsarakan. E la sua appartenenza alla nobiltà armena potrebbe trovare conferma anche nel fatto che l’esarca fosse sposato con una donna, Susanna, che sembra essere imparentata con la potente casa dei Mamikonean. Famiglia, questa, che aveva dato i natali a Vardan Mamikonean, ricordato per aver guidato gli armeni contro i Sasanidi nella tragica battaglia di Avarayr (451) che, nonostante si tradusse in una sconfitta, garantì poi agli armeni che vivevano all’interno del dominio persiano di poter professare liberamente il cristianesimo. La presenza tra gli alti ranghi dell’esercito bizantino di strateghi e comandanti armeni è facilmente comprensibile se si considera l’importanza che la cavalleria armena ebbe in ambito bizantino fin dalle campagne di Giustiniano, che vi fece ampio ricorso non solo in Italia ma anche contro le popolazioni slave nella penisola balcanica. L’Armenia, di fatto, fu il principale bacino di reclutamento dal quale attingere per alimentare i ranghi della cavalleria romana. A Ravenna questo si tradusse non solo nella presenza di esarchi di origine armena, ma anche nella permanenza di un numerus Armenorum, un contingente armeno, nella zona di Classe. Con la fine dell’Esercato, caduto per mano longobarda, i contatti tra l’Italia e gli armeni sembrano diminuire e bisognerà attendere il X secolo per tornare ad avere notizia di qualche presenza su suolo italiano. Presenza che, da quel secolo in poi, sarà sempre più rappresentata da monaci, pellegrini e mercanti. Alcuni di loro potrebbero essere stati assimilati dal tessuto sociale locale fino a far perdere le tracce delle proprie origini, mentre in altri casi, come quello degli Sceriman (o Scerimanian) a Venezia, la loro provenienza è rimasta chiaramente documentata.

Dettaglio laterale della tomba di Isaacio

È evidente che, sebbene la diaspora del secolo scorso abbia cause e dimensioni peculiari, quello armeno è un popolo che ha sempre dimostrato di avere una grande capacità di spostarsi e inserirsi in nuovi contesti culturali, arrivando a creare vere e proprie colonie. Il caso di Ravenna rappresenta la prima permanenza continuativa degli armeni sulla Penisola, una presenza che nei secoli successi si intensificherà in città come Roma, Milano, Trieste, Padova e la sopracitata Venezia.


Fonti:

Rossi, G. Storie Ravennati, Traduzione di Pierpaoli, M. 1996

Fiori, F. Epigrafi greche dell’Italia Bizantina (VII-XI secolo). 2008

Uluhogian, G. Gli armeni. Bologna. 2015

Aslanian, S. On the boundaries of History: The Armenian Diaspora of the Early Modern Period. 2020


L'autore

Gabriele Giovannini, 24 anni, di Massa Lombarda. Studente di Storia medievale presso l'Università di Bologna, coltiva la passione per la cultura armena. Con questo articolo d'esordio, entra a far parte della nostra squadra di collaboratori. Benvenuto, Gabriele!

 












 

 


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