di Fabio Pagani
Lunedì 13 ottobre, la città di
Alfonsine ha omaggiato la memoria del suo figlio più illustre, il poeta
Vincenzo Monti. Nell’affascinante collocazione di Casa Monti, il Comitato
Montiano ha organizzato un evento che ha voluto far conoscere al pubblico
presente il lato meno noto del letterato: il presidente, prof. Luca Frassineti,
fra i massimi esperti in Italia di ‘700 e ‘800, ha infatti sottolineato la vena
comica ed eroicomica del Monti, introducendo le letture dei testi, declamati da
Giulia Torelli, apprezzata regista teatrale. Prima di tutto, una doverosa
premessa: la serata è stata dedicata al prof. Arnaldo Bruni, presidente
onorario del Comitato Montiano, scomparso pochi giorni fa.
Il primo frammento è quello di
una lettera del luglio 1774, indirizzata da Monti all’amico di studi Ercole II
Calcagnini; in quel periodo, il poeta – non ancora tale – aveva 20 anni e si
trovava a Ferrara per gli studi universitari in Medicina (a lui, in realtà,
imposti dal padre). I toni ed i contenuti della missiva sono volutamente
ironici e di spiccato gusto cameratesco, il ché sta a testimoniare chiaramente
il rapporto di stretta amicizia fra i due interlocutori; eccone uno stralcio: Olà,
corpo di mia Nonna: a che gioco giochiamo? Io son vivo, e però non sono morto. Se
voi siate tale, v’è molto da dubitare, ed io non vorrei che foste già
convertito in qualche costellazione. Fate i miei complimenti all’Orsa Maggiore,
e pregatela a favorirmi una cassa del suo freddo, che ne ho bisogno in questo
caldo maledetto.
Il secondo testo è una canzonetta
dal titolo Per un grave incommodo emorroidale (novembre 1779), di cui il
Monti soffriva cronicamente; qui emerge l’attenzione sull’argomento canonico
della malattia, solitamente trattata riguardo agli altri, ma in questo caso
resa propria. I modelli di questa “canzonetta sopra il culo” fanno riferimento
alla preziosa elegia X, libro III, di Tibullo (poeta latino del I secolo a.C.).
Nei versi montiani, vi è il voluto slittamento dal registro elegiaco a quello
epico, con la chiara intenzione di prendere in giro il genere alto della poesia:
La bell’arte dei poeti / mente chiede ognor serena; / ma i pensier ridenti e
lieti / fuggon via se il culo è in pena.
Il terzo ed ultimo contributo
concerne la versione in ottava rima della Pucelle d’Orléans di Voltaire
(traduzione del 1798-99): i passi scelti sono incentrati sull’attentato alla
castità della protagonista, Giovanna d’Arco: Stende la grassa man verso
l’amante / senza pensarvi, e tosto la ritira / rossa in volto, pentita e
palpitante, / e poi si rassicura e poi sospira. / Poi dice alfin: - Bell’asino
galante, / vana è la speme che pel cor vi gira; / è una chimera: pregovi
d’avere / rispetto alla mia gloria, e al mio dovere.
A fine serata, molti dei presenti
si sono meravigliati di questa versione del Monti, assai poco nota: da sempre,
infatti, la fama del poeta è legata alla somma traduzione dell’Iliade, alle
tragedie, alle poesie e non certamente - almeno per noi profani - a questo lato
letterario che lo rende, senza dubbio, più terreno, ma non in modo banale.
(c) Riproduzione riservata
Nessun commento:
Posta un commento