di Fabio Pagani
La strada è un romanzo che tutti
dovrebbero leggere; è la storia di un padre e di un figlio, sopravvissuti alla
distruzione di un mondo nel quale umanità e solidarietà sono sentimenti
scomparsi.
Confortati da un carrello, sul
quale caricano le loro uniche speranze di sopravvivenza, i due protagonisti
cercano di percorrere centinaia di km per raggiungere la costa della California,
con l’auspicio di trovare un clima ed un ambiente migliori. Cormac McCarthy,
l’autore del romanzo, immagina che l’umanità si sia quasi del tutto estinta e
che, fra le poche persone rimaste vive, sia arduo trovarne di buone; nelle
parole e nei gesti del bambino ritroviamo non solo quel disperato desiderio di
rimanere aggrappato alla vita (spesso, lungo la storia, il piccolo chiede a suo
padre quanto sia vicina la morte per entrambi), ma anche la scintilla, la
fiamma, il fuoco – appunto – che alimenta le speranze dell’uomo, che protegge
e, nello stesso tempo, dà al proprio figlio gli strumenti per poter
sopravvivere anche senza di lui.
È questo, a nostro modo di vedere, il passaggio chiave di un libro scritto in modo incalzante, con frasi brevi ed incisive: nel legame indissolubile fra un padre ed un figlio si trova il senso della vita, della trasmissione di valori che restano; l’uomo, sempre più devastato dalla malattia e dalla fame, rincuora il giovane, lo difende e lo accudisce lasciandogli l’arma più importante (che non è la pistola con la quale l’adulto va in giro): la speranza. “Quella notte il bambino dormì vicino al padre e lo tenne abbracciato, ma quando al mattino si svegliò il padre era freddo e rigido. […] Pianse per un bel pezzo. “Ti parlerò tutti i giorni”, sussurrò, “e non mi dimenticherò. Per niente al mondo. Poi si alzò, si voltò e tornò verso la strada”.
Alla fine della storia, quando il
padre è morto, il giovane proseguirà il proprio cammino con un uomo, un reduce,
uno dei pochi rimasti in vita, ed una donna: “Ogni tanto la donna gli parlava
di Dio, ma la cosa migliore era parlare con il padre e infatti ci parlava e non
lo dimenticava mai. La donna diceva che andava bene così. Diceva che il respiro
di Dio è sempre il respiro di Dio, anche se passa da un uomo all’altro in
eterno”.
Il bambino è il vero portatore
del “fuoco”, della luce e della compassione umana, trasmessagli da un padre latore
di valori etici e morali, ma costretto a fare i conti con la dura realtà della
guerra e della distruzione. Il bambino questo lo sa e riconosce al suo
salvatore l’umano sentimento della paura, che spinge l’adulto, in più occasioni,
a pensare solo alla salvezza del proprio figlio.
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| Cormac Mc Carthy (1933-2023) |
L’amore incondizionato del padre
verso il figlio contrasta molto con il contesto drammatico in cui è ambientata
la storia: durante il loro viaggio, i due incontreranno Ely, l’unico
personaggio a cui McCarthy dà un nome: una sorta di vecchio profeta, forse
Elia, che mette a nudo la differenza sostanziale fra padre e figlio: il primo
pensa alla sopravvivenza del bambino, a cui lo lega un amore assoluto, il
secondo pare sempre connotato da sentimenti di pietà e compassione. Chiudiamo
con una riflessione religiosa: “Sapeva [il padre] che il bambino era la sua
garanzia. Disse: se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato”.
Ecco, la lezione – forse – più importante del romanzo è legata all’amore: che
esista o meno Dio, che si possa avere fede oppure no, l’unica cosa che conta
sono i valori e l’impegno che dobbiamo mettere per perseguirli, conservarli e
tramandarli, come un buon genitore deve fare con i propri figli.


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