lunedì 2 maggio 2016

Metti una sera con Stecchetti... (Seconda parte)

La poesia in dialetto di Stecchetti è il simbolo di una Romagna che prende coscienza della propria posizione, con le sue masse che lottano e cercano di ribellarsi al potere dei più forti. Ma il vernacolo non è solo questo, naturalmente: esprime l’amore per la buona tavola, gli scherzi, le bestemmie, le volgarità. Il dialetto romagnolo è pratico e misurato, non è né voluttuoso né lirico. Stecchetti, nei suoi sonetti, spazia dai temi più seri a quelli maggiormente pungenti, come in “Diritto al lavoro”, in cui il poeta denuncia l’arroganza del padrone:

Un ved, e mi sgnor Cont, un ved incora
Ch’a i’ho tre creatur da sustintè?...
A set cus ch’um ha arspost…? Porco, lavora!

dalla descrizione del viaggio

BULOGNA
Al do Torr? San Petroni? Chi s’n’infott!
Nò a curessom ai Quattar Piligren
A magnè al parpadell cun e’ parsott.

alla forte vena anticlericale, come si può vedere nell’ultima terzina de “Pro eligendo Pontefice”.

L’ha al muroid? Mo dì pian ch’an sen za surd.
L’ha al muroid? Ui vo poch a fel guarì
Basta lavei e’cul cun l’acqua d’Lurd.

Il tutto è condito dalla presenza di personaggi tipici, archetipi assoluti di un modo di vivere, l’uno all’opposto dell’altro: si passa, infatti, da Tugnazz, uomo del popolo, bonario e mangiatore,

Mo paura Tugnazz? Porca paletta
Un è bon gnanc Enrico Barbarossa.
Paura lò? Tugnazz! Mo vat a fe…
Ma val a dé d’intendar a mi nona…

a Pulinèra, che impersona il ravennate classico, antico e conservatore: una notte egli si trovava dietro a un muro e stava facendo i suoi bisogni, quando all'improvviso gli apparve Dante…

E tott in t’una volta um salté fura
Un vigliacch d’un fantesma, un zizulon,
Cun una sbossla da caricatura
E una stanela rossa da strigon.
Che alora ai dess: “Vui fiol d’na sumara
Se venissi per farmi una figura
Cavati prima la galoza e impara”.
Ma lui rispose per leteratura:
“Calca, calca, propulsa, Polinara
Perché a ben dir lo vero è cosa dura”.

attraverso Dante, visto non come il grande poeta, ma come maschera romagnola che sta in un tempietto costruito dall’architetto ravennate Camillo Morigia, una “vera gloria romagnola”, come è ironicamente definito:

Morigia? vera gloria romagnola,
Che fu un patacca e mica un architetto
E pisciò sino sangue, poveretto,
Per fabbricarmi questa pivirola
E i ravegnani al lume delle stelle
Vengono poi dal Bugno e coll’orina
Annegano il canton de le Tavelle,
Indi mi allegran sino alla mattina
Voci alte e fioche e suon di cul con elle
Sepolcro un cazzo! Quella è una latrina.

Chiudiamo con il sonetto integrale dedicato a Papa Pio X; non c’è bisogno di alcun commento…

VIVA LA SU FAZZA!

Pio disum, quand ch'us elza la matena,
Us magna du panett cun e' furmai
E' to la su acquavita, e' to un vintai,
E' va in zarden fumend la caratena,
Us mett a l'ombra senza papalena
E un pezz e' lezz l'Avanti d' spara guai
Un pezz us god a corrar dri al parpai
E dal volt a sunè la garavlena,
Us botta in t' la spagnera a cul buson,
E' stend al gamb, e' sptona la butega
E pu e' dorum pinsend a la clazion.
Mè, sgond a mè, a direbb che ló us n'infrega,
Mo sgond a sti giurnel d'i mi coion
«Per ora il Papa osserva, pensa e prega».


Ad maiora!

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