La poesia in dialetto di Stecchetti è il simbolo di una
Romagna che prende coscienza della propria posizione, con le sue masse che
lottano e cercano di ribellarsi al potere dei più forti. Ma il vernacolo non è
solo questo, naturalmente: esprime l’amore per la buona tavola, gli scherzi, le
bestemmie, le volgarità. Il dialetto romagnolo è pratico e misurato, non è né voluttuoso
né lirico. Stecchetti, nei suoi sonetti, spazia dai temi più seri a quelli
maggiormente pungenti, come in “Diritto al lavoro”, in cui il poeta denuncia l’arroganza
del padrone:
Un ved, e mi sgnor
Cont, un ved incora
Ch’a i’ho tre creatur
da sustintè?...
A set cus ch’um ha
arspost…? Porco, lavora!
dalla descrizione del
viaggio
BULOGNA
Al do Torr? San
Petroni? Chi s’n’infott!
Nò a curessom ai
Quattar Piligren
A magnè al parpadell
cun e’ parsott.
alla forte vena
anticlericale, come si può vedere nell’ultima terzina de “Pro eligendo
Pontefice”.
L’ha al muroid? Mo dì pian ch’an sen za surd.
L’ha al muroid? Ui vo poch a fel guarì
Basta lavei e’cul cun l’acqua d’Lurd.
Il tutto è condito
dalla presenza di personaggi tipici, archetipi assoluti di un modo di vivere, l’uno
all’opposto dell’altro: si passa, infatti, da Tugnazz, uomo del popolo, bonario
e mangiatore,
Mo paura Tugnazz?
Porca paletta
Un è bon gnanc Enrico
Barbarossa.
Paura lò? Tugnazz! Mo
vat a fe…
Ma val a dé d’intendar
a mi nona…
a Pulinèra, che
impersona il ravennate classico, antico e conservatore: una notte egli si
trovava dietro a un muro e stava facendo i suoi bisogni, quando all'improvviso
gli apparve Dante…
E tott in t’una volta
um salté fura
Un vigliacch d’un
fantesma, un zizulon,
Cun una sbossla da
caricatura
E una stanela rossa da
strigon.
Che alora ai dess: “Vui
fiol d’na sumara
Se venissi per farmi
una figura
Cavati prima la galoza
e impara”.
Ma lui rispose per leteratura:
“Calca, calca,
propulsa, Polinara
Perché a ben dir lo
vero è cosa dura”.
attraverso Dante, visto non come il grande poeta, ma come
maschera romagnola che sta in un tempietto costruito dall’architetto ravennate
Camillo Morigia, una “vera gloria romagnola”, come è ironicamente definito:
Morigia? vera gloria
romagnola,
Che fu un patacca e
mica un architetto
E pisciò sino sangue,
poveretto,
Per fabbricarmi questa
pivirola
E i ravegnani al lume
delle stelle
Vengono poi dal Bugno
e coll’orina
Annegano il canton de
le Tavelle,
Indi mi allegran sino
alla mattina
Voci alte e fioche e
suon di cul con elle
Sepolcro un cazzo!
Quella è una latrina.
Chiudiamo con il sonetto integrale dedicato a Papa Pio X;
non c’è bisogno di alcun commento…
VIVA LA SU FAZZA!
Pio disum, quand ch'us elza la matena,
Us magna du panett
cun e' furmai
E' to la su
acquavita, e' to un vintai,
E' va in zarden
fumend la caratena,
Us mett a l'ombra
senza papalena
E un pezz e' lezz
l'Avanti d' spara guai
Un pezz us god a
corrar dri al parpai
E dal volt a sunè la
garavlena,
Us botta in t' la
spagnera a cul buson,
E' stend al gamb, e'
sptona la butega
E pu e' dorum pinsend
a la clazion.
Mè, sgond a mè, a
direbb che ló us n'infrega,
Mo sgond a sti
giurnel d'i mi coion
«Per ora il Papa
osserva, pensa e prega».
Ad maiora!
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