venerdì 31 dicembre 2021

ALLA SCOPERTA DELLE RADICI DELLA NOSTRA LINGUA

 Puntata n. 1


Carissimi,

rispolvero il motto del periodico bolognese di Stecchetti, “Il Matto”: “Il giornale uscirà quando crede: non più di una volta al giorno, non meno di una volta all’anno”. Perché, vi chiederete? Senza dubbio, uno dei motivi è che, pubblicando oggi questo testo, ho ragionevole certezza di non essere costretto ad uscire ancora nel 2021.

Bando alle ciance, o quasi, vi voglio raccontare la storia di un aggettivo della lingua romagnola, assai noto alle generazioni più mature, ma pressoché sconosciuto a quelle più verdi: “spagogn”.


Mi ritrovo molto in questo termine, forse perché, come dicevano i Latini, “nomen – omen”?

Comunque sia, “spagogn” significa “ritroso”, “indocile” ed è proprio di un carattere introverso, scontroso, spigoloso, poco socievole, infastidito dal contatto umano cercato a tutti i costi. La sua probabile etimologia deriverebbe dal latino” pagan(ic)us”, abitante del “pagus” (villaggio), perciò rustico e selvaggio. Un’altra possibile origine sarebbe “expacare” (spaventare), dove il suffisso –ogn ha valore attenuativo: un po’ spaventato, un po’ scontroso, quindi, come è nello stile del carattere dello “spagogn”.

Con questo, cari lettori, vi saluto, augurando a tutti noi un 2022 tranquillo.

Ad maiora!

martedì 21 settembre 2021

Vivi nella parola… In pillole

 Cari amici,

oggi parliamo di un altro autore, non un poeta, ma uno scrittore: Renato Serra. Come mai, forse vi chiederete, allora compare nell’antologia? Il motivo è presto detto: Serra evoca benissimo il dolore e lo smarrimento di fronte alla morte, una morte che deriva dalla tragedia della guerra, la Grande Guerra, a cui egli partecipa. Inoltre, diversi lirici dell’area cesenate, contenuti in “Vivi nella parola”, trattano criticamente la produzione del Serra e, quindi, riteniamo utile parlarne.

Renato Serra nasce a Cesena nel 1884 e muore sul monte Podgora, in Friuli, il 21 luglio 1915. Di famiglia benestante, si laurea in Lettere presso l’Università di Bologna e ha nel Carducci il proprio modello culturale di riferimento. Aderisce alle idee socialiste del tempo e, nonostante la vita lo porti ad entrare all’accademia militare e a frequentare gli ambienti fiorentini e romani, mantiene sempre forte il legame con la sua terra, la Romagna, di cui ama approfondire anche gli autori minori. Serra, molto sensibile al tema della guerra ed alla necessità di mistificarne il mito – evidente, qui, il contrasto con D’Annunzio -, rifiuta l’idea per cui il conflitto bellico sia necessario, spogliandolo di ogni abito morale ed etico.

Lo scrittore cesenate, decidendo di prendere parte alla Grande Guerra, assume una posizione decisamente netta, declinandola attraverso il ruolo della letteratura: quest’ultima, infatti, non è capace di esprimere il senso di smarrimento dei giovani di fronte al dramma delle bombe, non sa trovare nelle trincee un minimo motivo di giustificazione, non può celebrare ciò che conduce milioni di uomini, giovani soprattutto, a morte certa.

Ne Esame di coscienza di un letterato, scritto dal nostro nell’aprile 1915, Serra dipinge il sacrificio della morte con colori grigi, freddi, in antitesi alle gloriose celebrazioni che i letterati e gli intellettuali producono:

[…] la guerra non cambia niente. Non migliora, non redime, non cancella; per sé sola. Non fa miracoli. Non paga i debiti, non lava i peccati. In questo mondo, che non conosce più la grazia. […]

[…] Vorremmo che quelli che hanno faticato, sofferto, resistito per una causa che è sempre santa, quando fa soffrire, uscissero dalla prova come quasi da un lavacro: più puri, tutti. E quelli che muoiono, almeno quelli, che fossero ingranditi, santificati; senza macchia e senza colpa. E poi no. Né il sacrificio né la morte aggiungono nulla a una vita, a un’opera, a un’eredità. Il lavoro che uno ha compiuto resta quello che era. […]

 

Ad maiora!

Nel nostro caso, appuntamento a mercoledì 29 settembre, ore 21.00, presso il Cinema Gulliver di Alfonsine, per la presentazione del libro.

mercoledì 15 settembre 2021

VIVI NELLA PAROLA… IN PILLOLE

Cari amici,

per la nostra rubrica, in vista della prima presentazione del libro, che avverrà alla sala Gulliver di Alfonsine mercoledì 29 settembre alle ore 21, oggi parliamo di un altro autore presente nella raccolta, Dino Campana.

Definito dai critici come un visionario ed erede, in qualche modo, della tradizione simbolista francese, il poeta vive un’esistenza tormentata e segnata dal soggiorno coatto in manicomio, dal gennaio 1918 al 1932, anno della morte.


La lirica di Campana, confluita nella raccolta “Canti orfici”, punta a sconvolgere e a fulminare le coscienze, scagliando saette emotive che stordiscono il lettore. Amore e Morte, “Eros” e “Thànatos”, passione e dolore mescolati perfettamente nell’attrazione per Sibilla Aleramo, la sola donna che Campana, a modo proprio, amerà. “Dino, io e te ci siamo amati come non era possibile amarsi di più, come nessuno potrà mai amare di più”, scrive Sibilla in una lettera del febbraio 1917.

Campana, nell’ultimo verso dei “Canti orfici”, ci lascia il testamento della sua vita che, secondo Carmelo Bene, uno dei massimi interpreti del poeta di Marradi, è trascorsa tutta nel dolore e nel delirio, non solo in quei quattordici anni di reclusione nel sanatorio. “Erano tutti avvolti e coperti col sangue del fanciullo”, chiosa Campana: senza dubbio queste parole contengono l’amara riflessione su se stesso, anima libera che paga, come vittima sacrificale del mondo, l’aver cercato di toccare i più intimi segreti dell’uomo.

 

Ad maiora!

lunedì 6 settembre 2021

VIVI NELLA PAROLA... IN PILLOLE

 

Cari amici,

continuiamo la nostra breve rassegna sugli autori che troverete nell'antologia "Vivi nella parola. I sepolcri dei poeti romagnoli", edita da "L'arcolaio" e scritta da me e da Nevio Spadoni. Oggi parliamo di Olindo Guerrini, che non è soltanto poeta dialettale, ma uomo di grande cultura e formazione classica. 

Con l’affermarsi, nella seconda metà dell’Ottocento, del positivismo come concezione del mondo e del naturalismo come canone dell’arte, nascono in letteratura la scientificità, l’impersonalità e l’impiego di un linguaggio parlato dimesso che attinge molte parole dal dialetto e dall’uso quotidiano, per poter presentare, con realtà e schiettezza, il parlare dei personaggi. Il termine “realismo” viene usato a significare soprattutto gli aspetti sporchi e deformi della realtà ed il suo elemento di maggiore incisività è l’efficacia dell’evocazione, di cui il francese Baudelaire esprime la cifra simbolica più vera. In Italia non esiste un momento di contemporaneità a Baudelaire, ma un prima e un dopo; ritroviamo in Guerrini questo realismo baudelairiano e la capacità di cogliere l’aspetto sensuale della vita rivestendolo di eleganti forme, divenendo così un poeta prediletto dal pubblico. La critica, tuttavia, non è tenera con Guerrini (vedi Croce, che lo taccia di oscenità), mentre Carducci, nel periodo bolognese, spiega che le liriche di Guerrini “non glorificavano la guerra civile, ma erano un’ispirazione sociale, tradotta in versi per amore dell’arte”. Entrambi i poeti alzano la bandiera contro le putredini cattoliche e romantiche, legati entrambi alla realtà storica in cui vivono e da cui traggono i loro ideali. Guerrini, eccellente latinista, si distingue, al di là degli strali della critica (Croce e Flora), per la grandezza con cui traduce e recupera gli immortali versi di Catullo (Odi et amo), di Orazio (Odi, libro I, n. 11), di Baudelaire, Hugo, del Leopardi dei Canti (in comune: l’abbandono della donna amata), di Byron e, naturalmente, di Carducci.

Ad maiora!

lunedì 16 agosto 2021

VIVI NELLA PAROLA… IN PILLOLE

 

Cari lettori,

oggi vogliamo incuriosirvi ed avvicinarvi, se possibile, alla lettura del nostro libro, “Vivi nella parola. I sepolcri dei poeti romagnoli” (casa editrice L'arcolaio). Lo facciamo parlando di uno dei trenta autori presenti nella raccolta, vale a dire Francesco Talanti, sant’albertese come Olindo Guerrini.

Di formazione scientifica - fu, infatti, professore di matematica - Talanti nutre un profondo interesse per la letteratura e la storia, tanto è vero che ha prodotto una monumentale Storia d’Italia, già in stampa presso Mondadori, a Milano, ma andata perduta a causa dei bombardamenti della seconda guerra mondiale. Il Nostro, noto ai suoi compaesani con il soprannome di “Cecco e’ mat”, stravagante, ma geniale, si fa apprezzare, oltre che per la stoffa poetica, anche per alcune teatralità: un giorno, infatti, presentatosi davanti a sua madre con due secchi pieni di latte, le dice: “Adès a sèn a pera!” (Ora siamo pari, alludendo al fatto di essersi sdebitato del latte materno bevuto da neonato).

In “A dila s-ceta”, possiamo trovare i sei canti dell’Inferno dantesco tradotti in dialetto romagnolo da Talanti: meraviglioso, ad esempio, il quinto, quello che vede protagonisti Paolo e Francesca. Oltre a ciò, si apprezzano poesie serie, come quelle sul tema della morte – i cui frammenti trovate nel nostro libro – e liriche più scherzose, provocatorie, in linea con il personaggio Talanti.

Il poeta, morto nel 1946, riposa presso il cimitero di Sant’Alberto.

Ad maiora!

mercoledì 28 luglio 2021

La Romagna nei versi dei suoi cantori

 VIVI NELLA PAROLA

I sepolcri dei poeti romagnoli

Il nuovo libro di Fabio Pagani e Nevio Spadoni

Una raccolta inedita, trenta biografie essenziali con frammenti e note critiche. Questo è il succo del nuovo libro scritto da Fabio Pagani e Nevio Spadoni e disponibile in tutte le librerie e sui principali canali di vendita on line.

Il lavoro, cui gli autori hanno dedicato un anno e mezzo di tempo, parte dall’idea di proporre al pubblico, di natura eterogenea, degli spunti per andare a conoscere un mondo, a molti, poco noto, vale a dire quello della poesia romagnola. Un secolo di storia, che prende le mosse, tra gli altri, da Olindo Guerrini, passa per Giovanni Pascoli e Dino Campana, arriva a Tonino Guerra e Raffaello Baldini, per concludersi con Giovanni Nadiani e Nadia Campana.

L’idea dei curatori è quella di consegnare nelle mani del lettore un’opera che lo possa indurre a riflettere sul valore profondo che i poeti hanno dato alla vita, soprattutto nel momento in cui essa volge al termine: ora sono dissacratori, ora timorosi, talvolta impavidi. Il viaggio, non solo ideale, può condurre chi se ne interesserà a compiere un vero e proprio itinerario alla visita dei cimiteri (per inciso, tanti Comuni organizzano visite guidate alle loro necropoli, ormai diventate delle mete turistiche): si parte dalla “Certosa” di Bologna, ove riposa Guerrini, e si percorre, verso est, la Regione, con Santarcangelo, Cesena, Cesenatico, Longiano, fino addirittura a Roma, al “Verano”, in cui si trova il sepolcro di Elio Pagliarani. 

Oggi, in un periodo storico in cui la letteratura, e la poesia, sono assaporate con il “mordi e fuggi”, riteniamo che i lettori possano essere avvicinati ai testi attraverso canali differenti, meno canonici e più accattivanti. “Vivi nella parola” si pone, infatti, uno scopo preciso: partendo dal frammento e dalla fotografia della tomba, cerca di incuriosire chi legge e di avvicinarlo all’idea di approfondire l’autore, avvalendosi di antologie o del web e, perché no, di accendere il motore della propria auto e compiere quell’itinerario di cui abbiamo già parlato.

Nevio Spadoni, che non ha bisogno di presentazioni, ed il sottoscritto hanno messo a disposizione del progetto le loro competenze ed energie: Spadoni, poeta di fama nazionale ed internazionale, propone puntuali traduzioni in italiano dei versi dialettali e Pagani cura gli autori in lingua, oltre che gran parte del repertorio fotografico. Stili diversi, quelli dei curatori, ma con rigore e penna fluida costruiscono un libro agile, godibile ed alla portata di tutti.

Ad maiora!


giovedì 20 maggio 2021

E (LA) LUNA BUSSO’ ALLE PORTE DEL BUIO (DEL SUO INTELLETTO…)

Qualche giorno fa, su un autorevole quotidiano, il giornalista “Satellite” ha pubblicato un pezzo nel quale si è scagliato, senza mezze misure, sui docenti italiani che, a suo dire, non hanno realizzato nulla nei lunghi mesi di DaD (Didattica a Distanza). Naturalmente non bisogna generalizzare: in ogni professione vi sono lavoratori responsabili e altri meno. Ma direi che sia ora di tagliare corto con queste accuse, sterili e demagogiche, generate a ciclo continuo sul corpo insegnante. Il signor “Satellite” ha mai messo piede in una scuola? Sa cosa significa gestire decine e decine di studenti, ponderare il peso delle parole anche quando ci sarebbe il desiderio di rispondere per le rime, capire le varie situazioni e valutarle una per una?

Basta con i pregiudizi! Allora perché, con lo stesso livore dialettico, non si ragiona sul lavoro del giornalista, o del notaio, oppure del commerciante? Troppo comodo sottolineare le consuete banalità, che ormai hanno stancato pure i muri: tre mesi di ferie in estate, sedia scaldata, tutti i pomeriggi liberi, ecc. Se tutti questi privilegi fanno gola, consiglio ai nostri detrattori di tentare il concorso per diventare docenti e di vincerlo, se ne sono capaci.

È davvero irritante leggere questi passaggi dell’Illustre: “Ma allora bocciate anche voi stessi, cari professori. Che non vi siete chiesti come interpretare didatticamente la pandemia, che avete pensato solo al programma ministeriale da finire, ad ogni costo, "sì, anche ginnastica in dad e allora"? Bocciate anche voi che non sapevate nulla di computer e didattica digitale (e questo era normale, comprensibile in un paese povero di competenze digitali come il nostro); ma che ancora oggi non ne sapete nulla. È passato più di un anno e non avete imparato nulla. Fate ancora le stesse lezioni orribili di un anno fa”.

Non ci siamo chiesti come affrontare la situazione, pensiamo solo ai programmi: siamo ignoranti, insomma.

E pensare che, un tempo, c’erano quotidiani seri, condotti da redattori di qualità. Già, un tempo… Quando l’informazione aveva un senso e non era dettata dal pressapochismo e dalla dabbenaggine di cui l’eccelso “satellite” è gran maestro.

 

Ad maiora!

giovedì 13 maggio 2021

IL PENSIERO, TORMENTO E PASSIONE

 Dì un po’: com’è che tu misuri il cosmo e i limiti

della terra,

tu che porti un piccolo corpo formato da poca

terra?

Misura prima te stesso e conosci te stesso,

e poi calcolerai l’infinita estensione della

terra.

Se non riesci a calcolare il poco fango del tuo

corpo,

come puoi conoscere la misura

dell’incommensurabile?

(Pallada – Antologia Palatina, XI, 34)

 

I versi epigrammatici che abbiamo appena letto possono indurre in noi una breve riflessione: capita spesso, infatti, che tentiamo di spiegare il perché delle cose, arrovellandoci in pensieri e, conseguentemente, problemi più grandi di noi.

Il mondo greco sa cogliere con estrema lucidità i difetti della psiche che, non a caso, può avere un duplice significato: “anima” e “mente”. Conoscere se stessi, massima che Pallada mutua da Socrate, è l’impresa più alta a cui siamo chiamati, una vera missione morale. Il cervello comanda le emozioni, per alcuni, ma non per altri: l’istinto si impone sull’intelletto, producendo risultati imprevedibili.

Dum loquimur, fugerit invida aetas (Mentre parliamo, il tempo invidioso se ne sarà già andato), scrive Orazio: non perdiamo tempo in questioni complesse, la vita è breve e complicarla non serve. Dobbiamo spingerci oltre il muro del Super – Io, di quel massimo controllore delle nostre menti, di quel censore di emozioni e di libertà, che ci opprime e ci inchioda al palo. Non è facile, naturalmente: la notte, il buio, il silenzio sono i compagni più temibili con cui abbiamo quotidianamente a che fare; ci mostrano nitidamente i dubbi, le angosce, i tormenti delle scelte, del cambiamento, del domani.

Una soluzione al male della Ragione, però, c’è e si chiama “metron”, vale a dire “misura” o, se preferite, “equilibrio”. Misura prima te stesso e conosci te stesso, e poi calcolerai l’infinita estensione della terra.

 

Ad maiora!