mercoledì 6 agosto 2025

Eco-Ansia, il male del nostro secolo

di Fabio Pagani

Viviamo nell’epoca dello stress e dell’ansia. Ormai queste parole sono entrate a far parte dei più comuni modi di dire: “Che ansia!”, “Non mi stressare!”, ecc.

Durante la stagione estiva, il caldo intenso si riverbera sulla nostra psiche: si aggravano, infatti, i disturbi psicologici come, appunto, l’ansia, la depressione e la psicosi e ciò è dimostrato da numerosi studi scientifici.

Le anomalie climatiche modificano lo stile di vita quotidiano di ognuno di noi e riducono le occasioni di socializzazione, amplificando la solitudine e l’isolamento; le persone più a rischio, cioè bambini e anziani, possono subire un vero e proprio “shock climatico”, traducibile in una nuova patologia definibile come “Eco-Ansia”. Di che cosa si tratta? E’ una sindrome ansioso-depressiva centrata sul cambiamento climatico, sull’impatto ambientale e sulle conseguenze, spesso drammatiche, delle azioni umane sulla natura.

L’Eco-Ansia colpisce soprattutto adolescenti e giovani adulti, vale a dire le categorie sociali con una accentuata sensibilità ecologica; i sintomi più comuni sono insonnia, rabbia, angoscia, pensieri ricorrenti legati alla morte e alle malattie, il tutto corroborato dalle notizie mediatiche sui vari disastri climatici.

Chi soffre di questa patologia accusa una profonda sensazione di estraneità sociale e la percezione di non essere ascoltato e compreso. Sottovalutare l’Eco-Ansia è un grave errore: le persone che ne esprimono il disturbo, infatti, danno spesso voce, in modo inconscio, ad altri problemi che le affliggono (sociali, familiari, economici, ecc.). Insomma, l’Eco-Ansia rappresenta un segnale, sempre più forte, di una sofferenza collettiva che ci coinvolge il rapporto con il mondo e con il futuro che ci attende. Non dimentichiamolo.

 

Fonti: www.sospsiche.it

Immagine tratta da: www.ilgiornaledell’ambiente.it

mercoledì 23 luglio 2025

Sant'Apollinare, martire e vescovo della cristianità

di Fabio Pagani


Cari amici,

oggi, come sappiamo, si festeggia Sant’Apollinare, patrono della città di Ravenna. Ecco un piccolo passaggio sui binari della storia, oggi come non mai degna di essere raccontata. Come per la maggior parte dei santi del I secolo, non abbiamo molte fonti storiche; alcuni collocano il personaggio nello stesso periodo in cui visse Pietro, altri un po’ più in avanti, vale a dire attorno al 200 d.C.

Il giovane Apollinare vive ad Antiochia (l’antica Turchia) e proviene da una famiglia di religione pagana, quindi politeista. Un giorno, però, dalle sue parti giunge Pietro a predicare una nuova fede dalla quale Apollinare si fa subito rapire. A quel punto, il giovane segue l’apostolo a Roma con una missione ben precisa: la capitale dell’Impero è solo una tappa per Apollinare, che infatti viene inviato a Classe dove la flotta romana dispone di una schiera di oltre 300 marinai provenienti dall’Oriente.

Apollinare si distingue subito per le sue doti di leader e Pietro decide di affidargli la costruzione della prima chiesa cristiana a Ravenna, di cui quel giovane venuto da Antiochia diventa proto vescovo. La convivenza con le antiche credenze pagane non è però semplice, tant’è che Apollinare viene più volte picchiato perché si rifiuta di consacrare offerte materiali ad idoli che il Cristianesimo, naturalmente, non riconosce.

Sant'Apollinare

Dopo circa 30 anni di reggenza della chiesa ravennate, attorno al 70 d.C. Apollinare è picchiato a sangue dagli emissari dell’imperatore Vespasiano perché si era, ancora una volta, rifiutato di cedere alla religione pagana. Il vescovo di Ravenna morirà qualche giorno dopo il pestaggio nel luogo in cui, nel 549 d.C., gli verrà consacrata la basilica di Sant’Apollinare in Classe (costruita 15 anni prima). Nel IX secolo, i resti mortali di Sant’Apollinare saranno traslati nella chiesa di Sant’Apollinare Nuovo.

A questo punto, buon Sant’Apollinare a tutti!

 

mercoledì 16 luglio 2025

NORTH SENTINEL ISLAND

Uno scrigno antropologico nel golfo delle Andamane

Un nuovo ingresso nella nostra redazione: si tratta di Francesco Costa, insegnante di scuola materna e studente universitario, nonché esperto di biologia marina e di tutto quel che riguarda la natura. Francesco ci regala un bell'articolo sulla North Sentinel Island, posto unico al mondo nel quale vive ancora una tribù di indigeni. Di veri indigeni, che non hanno mai avuto contatti con la civiltà. Leggendo l'articolo, capiremo come il governo indiano e le autorità stiano gestendo questo importante patrimonio dell'umanità.

In fondo alla pagina, una breve biobibliografia dell'autore. Benvenuto, Francesco!

di Francesco Costa

Nel 2025 la società umana ha ormai raggiunto un elevato livello di sviluppo nei continenti ed in tutte le terre: l’essere umano ha costruito società moderne ed efficienti, ormai simili in tutto il mondo.

Il processo di globalizzazione ha accomunato i popoli della terra tramite tratti simili e risulta oggi difficile pensare ad una società primitiva, quando ancora l’uomo non conosceva la scienza e la tecnologia. Sembra impossibile che al giorno d’oggi esistano ancora persone che non conoscono internet, le automobili o la radio, eppure questi individui ci sono, anche se in numero esiguo.

C’è un’isola situata nel golfo del Bengala all’interno dell’arcipelago delle Andamane, denominata North Sentinel Island, non troppo distante dall’India, che nasconde un interessante segreto antropologico; in questo luogo infatti abita una tribù di indigeni, che non ha mai avuto alcun contatto prolungato con il mondo esterno per migliaia di anni, preservando una struttura sociale, organizzativa e tecnologica primitiva, simile a quella dei nostri antenati, vissuti migliaia di anni fa.

Una veduta dall'alto di Sentinel Island

Si ipotizza che sull’isola abitino dalle 50 alle 500 persone, ma la stima non è certa; inoltre la popolazione nativa non può essere certamente censita, in quanto si dimostra estremamente aggressiva nei confronti di qualunque visitatore esterno che si appresti a sbarcare sull’isola. Tramite l’utilizzo di armi come archi, frecce e rudimentali giavellotti, la popolazione locale aggredisce qualunque barca o velivolo che si avvicini troppo all’isola, dimostrando di non volere alcun contatto con il mondo esterno.

Soltanto durante alcune rare missioni governative e scientifiche si è potuto osservare, anche se da una certa distanza, la popolazione locale, che appare comunque belligerante e poco accomodante.

Si ipotizza che questo popolo abiti l’isola da circa 60.000 anni e, non avendo avuto praticamente nessun contatto con il mondo esterno, preservi gli usi e costumi della vita tribale, rappresentando uno scrigno antropologico di conoscenza sulla condotta ancestrale dell’uomo e sulla sua origine.

Foto originale degli indigeni dell'isola

Attualmente l’amministrazione delle Andamane ha dichiarato di non voler interferire in nessun modo con la vita degli abitanti dell’isola, i Sentinelesi, e di non tentare alcun contatto con loro, impedendo alle navi ed ai velivoli di sostare sull’isola e vietando gli sbarchi sul territorio, al fine di tutelare la tribù ed il suo delicato stile di vita.

In passato non sono mancati incidenti di curiosi che hanno deciso di violare il divieto ed avventurarsi sull’isola: tutti costoro non sono mai tornati indietro e sono stati uccisi dai locali; anche per questo il governo dell’India ha dato direttive alle proprie navi di non avvicinarsi per nessun motivo all’isola e di non cercare contatto con i Sentinelesi, al fine di tutelare loro e i marinai Indiani.

In un mondo cosi avanzato come il nostro, dove la velocità e la tecnologia la fanno ormai da padroni, esistono ancora rarissimi luoghi di lentezza, dove il tempo sembra essersi fermato, dove i saperi ancestrali ed antichi dell’uomo dominano ancora la realtà, uno di questi è proprio North Sentinel Island, dove un piccolo popolo vive ancora in modo naturale, ignorando la modernità e lo sviluppo del ventunesimo secolo, rappresentando una perla rara per la collana della storia umana, perla, che sarà nostro compito preservare per i prossimi millenni.

Francesco Costa (2000) è un giovane poliedrico che coltiva moltissimi interessi: dai viaggi alla biologia marina fino alle piante e a tutto ciò che riguarda la natura. 
Laureato alla triennale di Scienze dell’Educazione, lavora da tempo come insegnante nella scuola materna, in attesa di conseguire l’alloro per la specializzazione che gli consentirà di esercitare anche nella scuola primaria. Collabora con l’Università per Adulti di Alfonsine e fa parte della Whale Watch Liguria, con cui realizza escursioni marittime nel “Santuario dei cetacei”. Ha alle spalle una pubblicazione dal titolo “I miei 10 anni tra le balene” (autoprodotto).



martedì 8 luglio 2025

ITALIA ’90, le nostre “Notti Magiche” di cristallo

di Fabio Pagani

L’8 luglio di 35 anni fa si chiudevano i mondiali di calcio di Italia ’90. Molto più di una semplice manifestazione sportiva.

"Ciao", la mascotte dei mondiali

Quella sera, allo stadio “Olimpico” di Roma, scesero in campo Argentina e Germania in una finale che, noi italiani, avremmo dovuto e voluto disputare: ci furono fatali i calci di rigore nella semifinale contro i sudamericani, giocata a Napoli, nel regno di Maradona. Il mondiale lo vinsero i tedeschi, destinati a vendicarci battendo la nazionale albiceleste con un tiro dagli undici metri trasformato dal compianto Andreas Brehme.

Maradona e Matthäus, capitani di Argentina e Germania nella finale

Quella coppa del mondo rappresentava la chiusura del cerchio di un decennio, quello degli anni ’80, che per l’Italia voleva dire benessere, denaro, opulenza: uscito dagli “anni di piombo”, il Paese rinacque, pur portando dentro di sé le proprie naturali contraddizioni; in politica vi fu il primo governo socialista della storia repubblicana, il mondo della comunicazione venne travolto dal fenomeno delle televisioni private di Berlusconi, l’imprenditoria vide la vertiginosa ascesa dei cosiddetti “yuppies”, giovani professionisti molto attenti al proprio aspetto esteriore e dediti alla bella vita.

La stessa RAI, il 5 giugno del 1990, inaugurò i nuovissimi studi di Saxa Rubra e mise in campo – è proprio il caso di dirlo – un sistema avveniristico per riprendere tutte le partite del mondiale e ciò che ne faceva da contorno.

Nei mesi precedenti la manifestazione, furono costruiti e rinnovati gli stadi: ex novo, il “Delle Alpi” di Torino ed il “San Nicola” di Bari, vere e proprie cattedrali nel deserto mai decollate; la spesa complessiva per l’edificazione degli impianti fu di circa 1250 miliardi di lire (rispetto ai 250 miliardi preventivati…) e toccò gli oltre 7 miliardi considerando tutte le opere pubbliche nate ad hoc.

Gli effetti di questo spreco si sarebbero palesati per oltre 25 anni sulle casse dello Stato; quello che, invece, a breve sarebbe accaduto al Paese lo sappiamo tutti: l’illusione di Italia ’90 tramontava in campo con il rigore parato da Goycochea ad Aldo Serena, sugli scranni della politica con lo scandalo denominato “Tangentopoli”, con cui si sarebbe chiusa l’epoca dei partiti della cosiddetta “prima Repubblica” e di quel benessere di superficie di fine anni ’80.

Ma a noi, che nell’estate del 1990 avevamo 8 anni, restano impresse le emozioni del primo mondiale della nostra vita, del clima elettrico che si respirava e di quella voglia di sognare che l’andare del tempo fatalmente sbiadisce. E poco importa se non abbiamo vinto.

Il compianto "Totò" Schillaci, eroe delle "Notti Magiche"


lunedì 9 giugno 2025

Nella Ferrara di Giorgio Bassani: dai Finzi Contini alla Lunga Notte del '43

di Fabio Pagani

Nel 25esimo anniversario della scomparsa dello scrittore Giorgio Bassani, abbiamo deciso di andare alla scoperta dei luoghi più significativi della città di Ferrara, dove egli è nato e dove ha ambientato gran parte delle proprie storie. L’occasione ci viene offerta dalla visita dei nostri amici reggiani: già, proprio loro! Ricordate che li avevamo portati in giro per Ravenna, più o meno poco dopo Natale?

In una calda giornata di giugno, ci troviamo in Corso Ercole I d’Este, le cui mura, ai lati della strada, ricorrono spesso nel film “Il giardino dei Finzi Contini”, di Vittorio De Sica, tratto dall’omonimo romanzo di Bassani. Nella pellicola, che racconta la storia di questa nobile famiglia ebrea di Ferrara, in cui la bella Micol è corteggiata dall’amico d’infanzia Giorgio, si vedono i due giovani, insieme ad altri amici, varcare il portone che separa il corso dal meraviglioso parco interno della villa; Bassani, nel romanzo, non indica volutamente i luoghi precisi della città in cui ambienta la storia, ma li lascia immaginare al lettore. 

L'ingresso del parco di Corso Ercole I d'Este

Il parco, in effetti, c’è ed è il giardino pubblico Massari, che però non assomiglia per niente a quello del film! De Sica ha scelto l’orto botanico di Roma per girare le scene in cui gli amici di Micol giocano a tennis nel grande polmone verde della villa Finzi Contini, mentre la dimora individuata per le riprese degli interni si trova in Brianza. Realtà (i Finzi Contini non sono mai esistiti, ma vengono con certezza identificati nella famiglia Magrini, vittima delle leggi razziali), finzione e fantasia si mescolano magicamente, dando vita e corpo ad un romanzo e al relativo film fra le creazioni più belle di sempre.

Micol, Giorgio e i loro amici nel grande giardino

La penna di Bassani (ebreo e, per questo, sepolto nel cimitero ebraico di Ferrara) scorre fluida anche in un’altra opera, “Le cinque storie ferraresi”: fra queste, menzioniamo “Una notte del ‘43”, che richiama un fatto vero, vale a dire l’uccisione del federale fascista Ghisellini, rivisitato in chiave narrativa e intrecciato alla vicenda privata di Pino Barilari, farmacista reso invalido dalla malattia, che passa giorno e notte alla finestra sopra la farmacia di sua proprietà, affacciata su Largo Castello, di fronte alla rocca estense. 

Anna e, alla finestra, il marito Barilari

Proprio lì, il 15 dicembre 1943 (la data è posticipata di un mese rispetto alla vera storia), undici antifascisti sono fucilati come capro espiatorio per l’assassinio del federale Bolognesi, freddato in realtà dai sicari di Carlo Aretusi, detto “Sciagura”, che ne avrebbe preso il posto. Una notte di sangue, registrata dagli occhi di Barilari, mentre la sua bella e giovane moglie, Anna, si trovava a casa di Franco, l’amante, figlio dell’avvocato Villani, trucidato nell’esecuzione di Largo Castello. Il film, girato nel 1960 come opera prima di Florestano Vancini, è ancora oggi bellissimo e ci regala scorci e luoghi veri di Ferrara, riportati fedelmente sia nel racconto di Bassani che nella pellicola. L’immortalità de “Il giardino dei Finzi Contini” e de “La lunga notte del ‘43” la dobbiamo anche ai grandi attori che ne sono stati protagonisti: Dominique Sanda (Micol), Lino Capolicchio (Giorgio), Giampiero Malnate (Fabio Testi) e Romolo Valli (padre di Giorgio) per il primo film; Enrico Maria Salerno (Pino Barilari), Gino Cervi (Carlo Aretusi), Gabriele Ferzetti (Franco Villani) e Belinda Lee (Anna) per il secondo.

Gino Cervi ("Sciagura") e Enrico Maria Salerno (Barilari)

Terminata questa emozionante pagina letteraria e cinematografica, una buona pausa ristoratrice a base di cappellacci ferraresi ha intervallato mattina e pomeriggio, nel quale abbiamo percorso le vie del ghetto ebraico, via delle Volte e via Vignatagliata per concludere in bellezza visitando il Castello Estense: le sue antiche prigioni, con gli umidi e stretti cunicoli, ma anche gli immensi e raffinati saloni, sembrano ancora dare voce all’epoca d’oro di una delle casate più prestigiose della storia.

Vi lasciamo con i minuti finali del film "La lunga notte del '43", in cui Aretusi incontra, dopo tanti anni, Franco, salutandolo come un vecchio e caro amico. Sappiamo che, in realtà, l'ex federale fascista fu responsabile della morte del padre di Franco che, però, dimostra di esserne completamente all'oscuro...

 Scena finale del film "La lunga notte del '43"

 

domenica 25 maggio 2025

Romagna, terra di briganti e di sogni infranti

di Fabio Pagani 

Qualche sera fa mi è capitato di assistere allo spettacolo teatrale La Ligaza di Trentasì, liberamente ispirato alle vicende di briganti che, a cavallo dell’800, hanno tormentato la Romagna. Malfattori, delinquenti che, per qualche bizzarro motivo, sono diventati il simbolo di una terra ribollente di ideali anarchici e ribelli (vedi Stefano Pelloni, detto Il Passator Cortese).

La Ligaza di Trentasì, magistralmente diretta dalla regista Giulia Torelli, mi ha fatto venire in mente un bel libro che ho letto alcune settimane fa e che ho avuto il piacere di presentare insieme al suo autore: si tratta de Il gradino di terra, scritto da Agide Vandini, e contenuto nella trilogia Romagna Ardente.

Copertina de "Il gradino di terra" 

Vandini vive a Filo di Alfonsine e da molti anni si dedica alle vicende del territorio e del mondo popolare; è curatore del blog L’irôla de’ Filés, nel quale pubblica racconti, ricerche e approfondimenti sulla Romagna e non solo. È nipote di Agida Cavalli, a cui deve il proprio nome, eroina della Resistenza di Filo trucidata dai fascisti 80 anni fa.

Il gradino di terra contiene le avventure di Sante e Michele, due fratellastri figli di scariolanti e contadini, che affrontano in maniera opposta un mondo dominato da ingiustizie e disparità sociali: il primo, abbraccia la vita agreste, mentre il secondo si dedica al brigantaggio e, fra realtà e fantasia, può identificarsi con il “Falcone”, uno dei banditi più celebri del tempo. La storia è incardinata in una cornica storica, che prende corpo dalla descrizione della situazione del Po di Primaro a fine ‘700, la cui rottura a seguito dell’alluvione del 1756 maturò la realizzazione di imponenti drizzagni, documentati nel libro da mappe e riferimenti grafici che arricchiscono la narrazione. Nel romanzo, grande rilievo viene dato al sacco di Lugo del 1796: “Oltre all’epopea degli scariolanti vissuta dai protagonisti, l’evento più importante negli anni a cavallo del secolo (1780-1821) è senza dubbio la calata dei francesi in Romagna con le tragiche conseguenze che travolgono la città di Lugo”, sottolinea Vandini. Le truppe napoleoniche, infatti, fra il 23 giugno e il 6 luglio del 1796, nonostante la fiera opposizione della popolazione lughese riuscirono ad avere la meglio, saccheggiando e depredando tutto, compreso il busto di Sant’Illaro, che venne portato via.

 L'autore, Agide Vandini

Fra rigore storico e invenzione narrativa, Vandini ha dato vita ad un’opera accattivante e densa di avvenimenti e colpi di scena: “Reale e documentato – specifica l’autore – è il riassetto delle acque romagnole descritto nel prologo, così come il già citato sacco di Lugo, di cui ho cercato di riportare un sunto fedele; quanto ai personaggi, ho preferito in alcuni casi distorcerne il cognome, date le non sempre edificanti attribuzioni romanzesche”.

 

 

mercoledì 7 maggio 2025

UN CONCLAVE PER LA STORIA

di Fabio Pagani

In questi giorni tutto il mondo ha i fari puntati sulla Città del Vaticano, dove lo scorso 26 aprile sono stati officiati i funerali di Papa Francesco. Un momento storico, molto sentito dai fedeli, che va rispettato.

Ciò che più ci intriga, in un certo senso, è quello che succederà a seguire: dopo i nove giorni di lutto, stabiliti per protocollo quando muore un pontefice, dal 7 maggio ha preso il via il conclave che, come abbiamo avuto modo di raccontare nella nostra breve clip, affonda le radici nel Medioevo, quando i cardinali iniziarono a rinchiudersi a chiave (cum clave, appunto), nelle segrete stanze della curia romana per eleggere il nuovo Vescovo di Roma.

L'ultimo Conclave (2013)

Nei secoli, questa “prassi” è stata spesso etichettata in modo critico, a tratti anacronistico, sicuramente colorito e folcloristico.

Ma andiamo con ordine e partiamo dall’accezione pratica dell’espressione conclave: anticamente era raro che vi fossero porte dotate di serratura e, quelle che ne disponevano, chiudevano stanze o edifici di particolare importanza. Per esempio, il diritto romano era molto severo verso chi rubasse o falsificasse la chiave della cella vinaria, dove veniva conservato il vino.

In ambito ecclesiastico, la prima volta in cui viene utilizzato il termine conclave risale al 1216, quando viene eletto Papa Onorio III; in realtà – e questa è una chicca – il “battesimo” del conclave fu un altro: siamo nel 1268, anno in cui muore il Pontefice Clemente IV. A quel tempo, la sede papale era a Viterbo, detta “città dei Papi” perché fu scelta da Alessandro IV per allontanare la chiesa dal clima ostile che c’era a Roma, e lì iniziarono a riunirsi i cardinali per l'elezione del successore al soglio di Pietro. Quel conclave durò addirittura tre anni! Questo perché gli interessi – politici ed economici – in gioco erano altissimi; visto che i porporati non riuscivano a mettersi d’accordo, i cittadini di Viterbo presero in mano la situazione e chiusero a chiave gli elettori in una sala del Palazzo dei Papi, razionando loro il cibo e lasciandoli al freddo. Insomma, queste condizioni spinsero i religiosi a darsi una mossa e ad eleggere Papa Gregorio X.

Il film "Conclave", di E. Berger (2024)

Dicevamo che il conclave non è sfuggito agli strali delle penne più pungenti e anticlericali dei poeti, in particolare di Olindo Guerrini, fiero avversario della chiesa e dei suoi potenti. Chiudiamo con uno dei sonetti che il Guerrini dedica al mondo religioso della curia romana, intitolato “Conclave”: ecco cosa fanno i cardinali mentre dovrebbero impegnarsi nelle loro alte vicende:

E’ Cunclev, Pulinera, eccol iqué / E’ corr a Roma stanta vis d’e’ cazz

Is sera in Vatican cun e’ cadnazz / E i magna com i ludar tott i dé.

Dop is grata la panza, i to e’ cafè / E in t’ la sela piò granda d’e’ palazz

Is radona a vutè pr’ e’ piò cazazz / E l’è par quest ch’in vota mai par mè.

E intant ch’i vota i da d’intendar ch’i ha / E’ su Spiritusant ch’e’va e ch’e’ven

E ch’ui insegna al purcarì ch’i fa.

Puvar Spiritusant! Sui passa vsen / Vut ch’at e’dega mè quel ch’ui dirà?

“Azident che possa da scapen…!”

 

Il Conclave, Apollinare, eccolo qui / Corrono a Roma settanta teste di cazzo

Si chiudono in Vaticano con il catenaccio / E mangiano come otri tutti i giorni.

Dopo si grattano la pancia, prendono il caffè / E nella sala più grande del palazzo

Si radunano a votare per il più cazzaccio / Ed è per questo che non votano mai per me.

E intanto che votano danno a intendere che hanno / Il loro Spirito Santo che va e che viene

E che insegna loro le porcherie che fanno.

Povero Spirito Santo! Se passa loro vicino / Vuoi che te lo dica quello che dirà?

“Accidenti, che puzza di calzini sudici…!”

 

Fonti:

O. Guerrini, Sonetti romagnoli, Zanichelli, Bologna, 1957.

O. Guerrini, Sonetti romagnoli. Edizione e commento a cura di Renzo Cremante con traduzione di Giuseppe Bellosi, Longo Editore, Ravenna, 2021.