mercoledì 11 dicembre 2024

Quell'estate dell'87 - Il racconto di un fatto drammatico nella narrazione di Marcello Monti

Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri il testo con cui Marcello Monti ha vinto il primo premio al Roma Crime Fest, nella sezione "racconti brevi". Dopo "La ragazza di via Idro", di cui abbiamo parlato principalmente nel precedente post, oggi vi regaliamo questa coinvolgente lettura, tratta da un fatto drammatico realmente accaduto in Romagna in quella che Monti, naturalmente, definisce "Quell'estate dell'87".

Quell'estate dell'87

Vaccolino, primo maggio, 1987

Quando il sole si specchiò nelle acque salmastre del Delta del Po, il suo destino si era già compiuto. Il suo corpo, invece, legato ad una grata di ferro arrugginito, galleggiava sospeso tra la superficie e il fondale, impigliato tra i canneti e cullato da acque poco profonde, in attesa che qualcuno lo notasse. Il suo ritrovamento concluse dieci giorni di ricerche febbrili, ma aprì una serie di interrogativi che proiettò un’ombra densa e fumosa sull’intera comunità di Alfonsine, paese dove la vittima viveva.

La dinamica con cui era avvenuto il rapimento del ventunenne carabiniere di leva, infatti, suggeriva che i colpevoli fossero del luogo. Solo poche persone conoscevano i suoi spostamenti e, tra questi, doveva esserci qualcuno molto vicino alla sua famiglia. Le indagini andavano a rilento. Più passava il tempo e più gli inquirenti faticavano a trovare una pista investigativa attendibile, contribuendo ad alimentare la paura. Il dubbio e il sospetto si insinuavano tra le persone come la nebbia, che da queste parti diventa così fitta da essere tangibile, isolandole e avvolgendole nell’insicurezza. Anche l’estate sembrava tenersi alla larga da qui, manifestandosi solo a luglio inoltrato, mese nel quale prese forma un altro episodio criminoso. A seguito di ripetute minacce a carico di un’altra famiglia facoltosa del posto, veniva chiesto una somma di denaro per evitare che venisse fatto loro del male ma, a differenza del precedente tentativo estorsivo conclusosi tragicamente, si decise di denunciare la vicenda al comando dei carabinieri provinciale, escludendo quello locale. Su suggerimento delle forze dell’ordine, le parti si accordarono per pagare metà della somma richiesta e fu approntato un piano per incastrare i malviventi.

Lunedì 13 luglio, Alfonsine, ore 17:00

Un uomo sulla trentina, afferrò la birra fresca che aveva ordinato al bar della stazione di servizio e si sedette all’esterno del locale. Con le mani callose appoggiò la bibita sul tavolino accanto e con le dita ancora sporche di grasso sotto le unghie sfilò una Lucky Strike che aveva incastrato tra l’orecchio e i riccioli neri. L’accese, distese le gambe sulla sedia che aveva di fronte e, guardando nel vuoto, si fumò la sua bionda. Una sciantosa dal trucco appariscente si avvicinò chiedendogli una sigaretta, ma lui la mortificò con un ghigno, mostrandogli il pacchetto ormai vuoto.

«Anche ieri sera è andata male al casinò?» la donna si lasciò scappare una risata sarcastica.

«Come sempre, un po’ ho vinto e un po’ ho perso…» rispose lui, dopo aver sputato una pagliuzza di tabacco. «Ma la prossima volta andrà meglio!» La voce dell’uomo trasmetteva l’ineluttabile certezza di chi è consapevole che il destino, prima o poi gli avrebbe concesso l’opportunità di svoltare. E lui si sentiva pronto per coglierla. Poi, aspirò una generosa boccata di nicotina che soffiò via come a scacciare un brutto pensiero.

Dopo qualche minuto, una pattuglia di carabinieri parcheggiò la loro volante nel piazzale dello stesso bar. Osservarono chi ci fosse all’interno e attesero qualche istante prima di entrare. Alla loro vista, l’uomo dai riccioli neri strinse il pugno con cui aveva afferrato la bibita. L’espressione che seguì ne accentuò le spigolosità del viso. Loro, avvicinandosi all’ingresso, accennarono un saluto sfiorandosi la visiera del cappello d’ordinanza. Lui contraccambiò con un flebile sorriso di cortesia.

I militari ordinarono un caffè e, mentre il resto degli avventori canticchiava Thriller in un inglese farfugliato, l’uomo seduto all’esterno li raggiunse. Poi, mormorò qualcosa che non doveva essere udito da altri. I militari lo guardarono con quella supponenza di chi crede di avere il mondo in pugno, lasciarono i soldi sul bancone e si allontanarono.

Lido Adriano, ore 17:00

Una giovane donna, che stava stirando una camicia bianca, indugiò qualche istante ad osservare il marito seduto sul piccolo divano di casa mentre fissava il televisore spento. Nonostante alle diciotto iniziasse il suo turno al comando del nucleo operativo dei carabinieri di Ravenna, era ancora in mutande e canottiera a righe fini. «Che c’è amò, oggi mi sembri strano.»

L’uomo sorrise per rassicurarla, ma la tensione lo fece apparire innaturale, confermando le preoccupazioni della moglie. «Oggi, è la mia prima missione e credo che stasera ci sarà da sparare…»

La donna si massaggiò il ventre e poi puntò l’indice verso il marito. «Non fare cazzate! Ti ricordo che, l’anno prossimo, diventerai padre.»

«Sono l’ultimo arrivato, credi che dovrò fare tutto io?» L’uomo sdrammatizzò con una battuta, che in cuore suo sperava corrispondesse alla verità. Vestì la camicia bianca e poi il resto dell’uniforme. Baciò la moglie sulla fronte e le sorrise nuovamente prima di chiudere la porta dell’appartamento alle sue spalle.

Alfonsine, ore 22:00

Due uomini parcheggiarono la loro Fiat 127 bianca nel garage di una casa abbandonata nella campagna appena fuori dall’abitato che diede i natali al poeta Vincenzo Monti. Ad attenderli, c’era l’uomo magro dai capelli ricci corvini che, come una belva in trappola, camminava inquieta, sotto l’ombra di una pergola. I due chiusero il portone in lamiera e si avvicinarono.

«Tutto a posto!» Il più giovane dei due si affrettò a tranquillizzare l’uomo.

«Tutto a posto un cazzo! Vi devo ricordare cos’è successo l’ultima volta? Abbiamo commesso un’ingenuità ed è andato tutto a puttane. Siamo andati bene che non ci hanno beccato, Cristo Santo!» L’uomo ruggì con rabbia verso i due complici. «Quante volte vi ho detto di non farci vedere insieme! Ogni leggerezza può far saltare tutto. Piuttosto, siete sicuri che nessuno conosca le nostre intenzioni?»

«Non sospettano nulla. Tra l’altro, questa sera, hanno messo in servizio il più rincoglionito.» I tre risero rumorosamente.

Furono subito riportati al silenzio dall’uomo riccioluto. «Avete lasciato le vostre armi in caserma?»

Gli altri due fecero un cenno d’assenso. «E tu, hai portato la Smith & Wesson?» chiese il più giovane della comitiva.

L’uomo riccioluto prese un fagottino che teneva custodito sotto la sella del motorino parcheggiato all’ombra della pergola e lo mostrò. «Come ci organizziamo?»

Uno dei due prese una cannetta della stuoia di vimini che rivestiva la pergola e lo spezzò in tre parti di dimensioni diverse. Chi avesse estratto il legnetto più piccolo, avrebbe assegnato i compiti. Così fu l’uomo più smilzo a farlo. Per sé stesso scelse la guida, al più giovane affidò il compito di recuperare il malloppo, mentre all’altro consegnò la pistola.


Nero su Bianco
Collana su cui è pubblicato il racconto


Taglio Corelli, ore 22:00

«Oggi fa veramente caldo e l’aria è irrespirabile!»

Un giovane carabiniere del Nucleo Operativo di Ravenna era sul luogo a lui assegnato, all’interno di una volante e in compagnia di un maresciallo.

La piccola frazione alle porte di Alfonsine era un luogo facile da presidiare. Poche case, per lo più abbarbicate ad un tratto rettilineo compreso tra due grandi curve dell’arteria stradale che unisce la pianura emiliana alla costa romagnola, e spazi ampi che consentivano di controllare con largo anticipo chi potesse transitare da quelle parti. Il piano prevedeva che la borsa contenente la somma pattuita fosse posizionata in uno spiazzo antistante il cancello di accesso alla casa cantoniera. Una volta recuperata, i carabinieri più vicini dovevano verificare che i malviventi fossero disarmati e, solo a quel punto, intervenire. Nel caso fossero riusciti a fuggire, tutte le vie di fuga erano state preventivamente presidiate. Nessuno sapeva di quell’operazione, eccetto i dodici uomini coinvolti e il loro comandante.

«Non preoccuparti, tra poco più di un’ora questo caldo sarà solo un appiccicoso ricordo. Poi, te ne torni a casa dalla tua mogliettina a Lido Adriano.» Il maresciallo si tolse il cappello e asciugò la testa.

Parvi crinuta con la mano.

L’altro, ruotò più volte la fede nuziale attorno all’anulare.

«Lo sai che non possiamo permettercelo, vero?» Il maresciallo si rivolse all’appuntato in modo paterno.

«Cosa?» Le pupille si dilatarono, trasformandosi in due chicchi di caffè che accentuarono le rotondità del viso.

«Di avere paura!»

Il giovane collega annuì, vibrando il capo.

«La paura è un lusso, figlio mio. Ogni nostra incertezza la potremmo pagare con la vita. Ma oggi è il tuo giorno fortunato, perché, fino a quando starai con me, non ti accadrà nulla. Sarò il tuo Maradona.»

Il giovane appuntato sorrise orgoglioso. Per la prima volta Napoli non era ricordata solo per i suoi vizi e, dopo lo storico primo scudetto, anche per qualche virtù. Lui era di Caserta, ma mai come ora tutti i campani si sentivano napoletani e, così, rivalersi contro i pregiudizi che li vedevano relegati sempre sul fondo della società. Anche per questo, all’inizio, si era adattato a stare in cucina pur di essere dalla parte giusta. Festeggiò come a capodanno, quando fu promosso al nucleo operativo, anche se il regalo per quella promozione l’avrebbe scartato nove mesi più tardi.

«Secondo lei, sono gli stessi?»

La domanda sorprese il maresciallo. «Questa cosa da dove viene fuori?»

«Vede, un sequestro finito male e un tentativo di estorsione in soli due mesi e mezzo, in un posto dove non accade mai nulla… a me sembra davvero strano.»

«Pensi alla criminalità organizzata?»

«Non lo so, non credo. E chi sono io per dirlo... Però, penso che ci sia un legame tra le due vicende.»

«E come?»

«Vede, il giorno in cui questo ragazzo è stato ritrovato, io c’ero…» Il giovane carabiniere guardò il maresciallo come per fare una confessione. «Quando l’hanno estratto dall’acqua, ho subito notato che c’era qualcosa che non tornava.»

Il maresciallo lo esortò a continuare.

«Innanzitutto, il cappuccio. Se non vuoi che qualcuno ti riconosca, non utilizzi un sacco con dei fori all’altezza degli occhi, questo mi pare ovvio…»

«E poi?»

«Di gente incaprettata purtroppo ne ho vista, ma quella non aveva nulla a che fare con quel modo là… La fune, che legava i polsi e le caviglie, arrivava fino al collo… Capisce?»

Il maresciallo guardò un punto indefinito come se stesse immaginandosi la scena. «Si è soffocato nel tentativo di liberarsi…»

«Esatto, e questo è avvenuto la sera stessa del rapimento. Probabilmente, mentre era rinchiuso nel bagagliaio dell’auto che lo stava trasportando al covo.»

«Hai informato di questo i superiori?»

«Troppe chiacchiere, marescià! Qui nisciun si fida più…»

Il maresciallo sorrise bonariamente. «Quel giorno, al Po di Volano, hai visto qualcos’altro?»

Il giovane carabiniere si guardò le ginocchia e annuì, serrando la mascella. «Sì, oltre a noi del nucleo operativo, c’era un ragazzo che più o meno aveva la mia età… L’ho notato perché si muoveva con una certa disinvoltura. Allora gli ho chiesto i documenti…»

Il maresciallo gli fece cenno di proseguire.

«Mi disse che era del comando di queste parti e che, pur non essendo in servizio, si era precipitato per verificare che il corpo ritrovato corrispondesse a quello del ragazzo che stavano cercando da dieci giorni.»

«Bè, che c’è di strano?»

«Come faceva a saperlo, se non era in servizio?»

Il silenzio, che avvolse i due carabinieri, fu interrotto dal gracchiare della radio che comunicò loro l’inizio dell’operazione.

Alfonsine, ore 23:45

I tre uomini spensero il loro ultimo mozzicone di sigaretta, schiacciandolo sul viottolo ghiaiato della cascina in cui si erano nascosti fin dalla tarda serata e dove avevano pianificato come muoversi dopo il colpo. La strategia stabiliva di fare tappa, in momenti diversi, al casinò di Sanremo e millantare al bar e con i colleghi vincite milionarie. Fino a quel momento, avrebbero dovuto condurre le vite di sempre. All’idea del loro ricco futuro, risero sguaiatamente e si scambiarono delle pacche di incoraggiamento. Poi, aprirono il portone di lamiera dove avevano tenuto celata la macchina.

Prima di salire sulla Fiat 127, il più giovane ebbe un tentennamento. «E se fosse una trappola?»

Un fremito si infiltrò sotto le magliette, facendoli rabbrividire. Di colpo le loro certezze vacillarono e i sorrisi furono sostituiti da pieghe profonde a solcarne i volti come calanchi, nonostante fossero tutti molto giovani.

«Non è il momento di dire delle cazzate!» La pesante inflessione romagnola del più grande dei tre frantumò quel gelo e li spinse a proseguire, dissolvendo i timori del giovane complice. «Se hai avuto l’impressione che qualcuno abbia capito chi siamo e abbia mangiato la foglia, dillo ora perché dopo sarà troppo tardi. Se te la fai sotto, è ormai troppo tardi anche per quello!»

Quando il più giovane salì, l’uomo più magro e dai capelli ricci era già alla guida e quello con la pistola era seduto sul sedile posteriore. Uno sbuffo poderoso accumunò i tre uomini. Una volta imboccato la Statale, accesero i fari e sintonizzarono l’autoradio su un’emittente locale che stava trasmettendo l’ultimo successo di Mick Jagger da solista, Let’s work. Gli sembrò persino una coincidenza fortunata. Poi, chiusero i finestrini e, lentamente, si diressero in contro al proprio destino.

Taglio Corelli, ore 23:50

Il buio della campagna era interrotto da alcuni lampioni che, come una linea tratteggiata, univa il centro abitato di Alfonsine con quello della sua frazione. La visibilità non era ottimale, soprattutto dalla posizione che era stata assegnata ai due carabinieri. Non si distingueva nemmeno il piano stradale dal fossato. Anche le luci delle abitazioni erano spente, fatta eccezione per quella che proveniva dalla finestra in prossimità della casa cantoniera. Il maresciallo la notò quando udì il rumore di un’auto in avvicinamento, perché poco dopo si spense. Pensò ad un segnale e, contravvenendo agli ordini, abbandonò la posizione prevista dalla loro consegna.

«Perché siamo venuti qua?» bisbigliò, l’appuntato.

«Perché voglio vedere in faccia questi bastardi!»

Mentre l’auto si avvicinava trasportando con sé la musica allegra di Mick Jagger, i due carabinieri, acquattati nel fosso, sentivano i loro battiti squassargli il petto.

L’auto arrestò il suo rotolamento inerziale, proprio di fronte all’esca. La portiera si aprì di scatto aumentando i decibel della radio. Quando la mano tesa afferrò la borsa, il maresciallo alzò appena lo sguardo per consegnare un cenno d’intesa all’appuntato.

Il giovane carabiniere emerse dal nascondiglio. «Tasca, ma che cazzo ci fai qua?» urlò all’indirizzo del delinquente. Lui, spaventato, gli gettò contro la borsa e tentò di riguadagnare la macchina.

«Vetrano, fermati!» Il maresciallo gridò, nel vano tentativo di impedire al collega di fare una sciocchezza.

D’istinto, l’appuntato si buttò addosso al malvivente e non si accorse che il complice con la pistola aveva già preso la mira. Il proiettile raggiunse il petto del giovane carabiniere che cadde a terra. Il maresciallo, sorpreso, esitò prima di rispondere al fuoco, le gomme fischiarono e gli altri due complici fuggirono. Il giovane appuntato ebbe solo il tempo di vedere il maresciallo bloccare a terra il collega coetaneo e ammanettarlo, poi chiuse gli occhi per sempre. La loro fuga fu brevissima, durò meno di un ghiacciolo a ferragosto. Alla curva successiva, due volanti avevano già interrotto la loro folle corsa. Le altre li avevano raggiunti alle spalle ed accerchiati.

Alfonsine, luglio 2024

I tre imputati sono stati condannati per i fatti di Taglio Corelli e, dopo 25 anni di reclusione, sono tornati in libertà. Tuttavia, ciò che rimane avvolto nel mistero, è la tragica vicenda del giovane carabiniere di leva, il cui corpo fu trovato a galleggiare tra fondale e superficie del Po di Volano. Nessuno è riuscito a stabilire se i tre fossero anche i responsabili del suo rocambolesco omicidio. Complice il silenzio dei colleghi e l’omertà dei vertici dell’arma, che non volevano venisse gettato ulteriore fango sulla divisa, molte prove sono andate perse o distrutte. Da quell’estate maledetta, nulla di simile è più accaduto in queste terre ma continua, nonostante tutto, l’ostinata ricerca della verità della madre di Pier Paolo Minguzzi.

 


martedì 3 dicembre 2024

La scrittura e quell’emozione che non ti aspetti

di Fabio Pagani

La partecipazione al “Roma Crime Fest”, tenutosi nella capitale, a Cinecittà World, nell’ottobre scorso, avrebbe dovuto rappresentare per Marcello Monti, di per sé, un traguardo. Invece c’è stato molto di più.

Monti, classe 1973, vive da sempre ad Alfonsine, in provincia di Ravenna; maturità scientifica a Lugo, poi l’iscrizione all’università di Ferrara e, quasi a rappresentare una prima svolta personale, la scelta di intraprendere un’altra strada. Marcello diventa parrucchiere e, da 25 anni a questa parte, lavora come socio nel salone “Gabriella Parrucchieri” di Punta Marina Terme, nei lidi ravennati.

Compagno di vita di Natascia, ha un figlio, Massimiliano, e si nutre di una atavica passione per la Juventus. Dicevamo, però, di quel festival romano al quale Marcello si è ritrovato, quasi catapultato in qualcosa di insperato, almeno fino a qualche tempo fa. Agosto 2023, esce il primo romanzo di Monti, “La ragazza di via Idro”: un giallo nel quale convivono tre nuclei narrativi che ruotano attorno alla famiglia Bertelli, all’ispettrice Bissotti e, appunto, ad una giovane donna vittima di violenza. Il tutto, legato da una truffa di cui cadono vittima Giorgio ed Enrica Bertelli, co-protagonisti di una vicenda che intreccia il triplice filone senza, però, lasciare il lettore in balìa degli eventi. Lettura agevole, avvincente e sempre fresca.

Da quell’agosto di un anno e mezzo fa, Marcello ha fatto conoscere la propria opera: prima presentazione all’Università per adulti “U. Pagani” di Alfonsine, poi altre, sempre nella provincia. Si aggiungeranno interviste via web da parte di blogger specializzate nel settore della giallistica: una di queste, Michela Ippolito, ha recensito molto positivamente il romanzo del nostro autore, suggerendogli di partecipare al contest del “Roma Crime Fest”. Monti si candida e rientra fra i 100 autori selezionati per il concorso, 24 dei quali in posizione utile per l’evento romano; fra questi, soltanto 10 accedono alle semifinali. Marcello c’è. Supera anche il penultimo step e, arrivato in finale, si piazza al quarto posto.

Già questo basterebbe al nostro per tornare a casa molto soddisfatto. E invece la giornata gli riserva il botto finale: Monti ottiene il primo premio nella sezione speciale dedicata al genere giallo, “Nero su bianco. Racconti di crimine, terrore e misteri”, promosso dalla casa editrice sponsor dell’evento, la PAV Edizioni. Il suo racconto si intitola “Quell’estate dell’87” e riguarda una nota, e tragica, vicenda di cronaca nera che colpì un ragazzo di Alfonsine. Alla consegna della targa, Marcello è parso incredulo, sicuramente stupito, per avere conquistato il primo posto, precedendo altri autori che fanno della scrittura quasi un lavoro a tempo pieno.

Lasciamo Roma verso le 18, cercando di declinare lucidamente quanto accaduto. Ma, forse, per Marcello il momento dell’analisi razionale deve ancora venire, mentre noi, grati per averlo accompagnato in questa avventura, confidiamo che il suo prossimo progetto editoriale – stanno bollendo in pentola diverse novità – possa vedere la luce quanto prima.

“La ragazza di via Idro” e “Quell’estate dell’87” sono due prodotti narrativi pregevoli, che portano con sé non soltanto la passione e l’entusiasmo di Marcello (sarebbe un’opinione troppo riduttiva ed ingiusta), ma tanto lavoro di formazione, autoformazione e crescita che fanno di Monti, senza dubbio, uno scrittore che ha, e avrà, ancora molto da raccontare.

martedì 26 novembre 2024

Generazione 883

Cosa ci lascia la serie TV sul gruppo icona degli anni ’90. Eravamo davvero così felici?

di Fabio Pagani

Pur con qualche ritrosia, per i motivi che spiegherò più avanti, ho guardato tutte le otto puntate della serie “Hanno ucciso l’uomo ragno – La leggendaria storia degli 883”. Sydney Sibilia, il regista, ha senz’altro realizzato un buon prodotto, avvalorato dall’ottima interpretazione dei giovanissimi protagonisti, Elia Nuzzolo (Max Pezzali) e Matteo Oscar Giuggioli (Mauro Repetto).

La narrazione è abbastanza fedele alla reale vicenda del duo, ascoltando le interviste rilasciate dagli attori: dagli inizi difficili, all’esplosione definitiva, fino alla rottura, di cui si intuisce il motivo, senza che, però, sia declinato. Sicura, a questo proposito, la seconda stagione della serie.

Ma, dicevo, mi sono avvicinato alla visione con un pizzico di prevenzione: in genere, quando si riapre la porta della nostalgia, in questo caso evidente per una certa generazione, come la mia, si corre il rischio di enfatizzare e celebrare un periodo che pare migliore di quello attuale. Per alcuni versi, può essere così: i giovani degli anni ‘80/’90 avevano realmente più cose da dire di quelli di oggi? Erano più sognatori? La storia di Max e Mauro è la classica amicizia di due ragazzi di provincia, che si conoscono a scuola e che condividono la passione per la musica; le lunghe estati di Pavia, quelle, per intenderci, in cui ci si annoia mortalmente – ah, la noia, stato fisico e mentale che, quando vissuto in modo sano, fa apprezzare il valore dell’attesa – nascondono in realtà la risposta a tutte le inquietudini dei due protagonisti. È proprio dal nulla apparente che nascono le storie, a loro volta cullate nella fantasia che riempie di contorni luccicanti l'ordinaria quotidianità. E così, molto semplicemente, una ragazza, anzi, la ragazza tanto desiderata da Max, che gli racconta le proprie inquietudini amorose, ispira il testo del primo successo degli 883, dal titolo “Non me la menare”, come rappresenta il paradigma assoluto della sofferenza sentimentale, del possibile “NO” in “Come mai”.

Max e Mauro sono, forse è meglio dire “erano”, due ragazzi come tanti di noi che, a cavallo di quegli anni, si accontentavano di avere un sogno; quel mondo senza smartphone, internet e Instagram ci consentiva di inforcare la bicicletta o il motorino per andare a trascorrere lunghi pomeriggi in giro per le vie della città, ci alimentava con la benzina dell’immaginazione, quella che manca terribilmente ai ragazzi degli anni ’20 del 2000.

E allora, se i Max e i Mauro del 1992 fossero qui, oggi, e vivessero il 2024, cosa direbbero? Come ci giudicherebbero? Non sono tanto sicuro che risponderebbero con fermezza che negli anni ’90 si stesse meglio; si adatterebbero al moderno, forse produrrebbero canzoni ancora più iconiche, più forti, grazie alla tecnologia e alle infinite possibilità offerte dalla comunicazione. Oppure, no… No, perché il bombardamento a cui siamo sottoposti non stimola la creatività, semmai la inibisce.

Ecco perché, pur contento di aver visto la serie e di averla molto apprezzata, credo che la nostalgia per quegli anni sia discutibile. Domani, forse, rievocheremo il 2024 perché vivremo in un mondo ancora peggiore di questo; non lo so e non credo sia utile pensarci. Ciò di cui sono sicuro, invece, è che i giovani devono recuperare la voglia di sognare, di entusiasmarsi solo perché quella luce, in quella finestra, in quella casa in cui abita la ragazza del cuore, è accesa: sarebbe già una grande conquista.

venerdì 22 novembre 2024

Ricordi ed emozioni nell'ultimo libro di Nevio Spadoni

di Fabio Pagani

Poesia e musica per celebrare il senso della vita. Giovedì 21 novembre, nella bellissima cornice della sala Ragazzini di Ravenna, Nevio Spadoni ha letto ed interpretato alcune delle liriche contenute nella raccolta Parôl d’sêl e d’mél (Parole di sale e di miele - Arcipelago Itaca Edizioni), con l'ottimo accompagnamento di Alvio Focaccia alla fisarmonica. Un'ora di intense vibrazioni a cui il numeroso pubblico presente ha tributato applausi sinceri.

Spadoni (San Pietro in Vincoli, 1949) è poeta e drammaturgo di respiro nazionale ed internazionale: ha alle spalle una vita nell'insegnamento della storia e della filosofia, con cui ha lasciato tracce profonde nei tanti studenti che, oggi, sono suoi lettori e amici. Fra i riconoscimenti ottenuti in carriera, ricordiamo gli ultimi, vale a dire il premio "Lerici Pea-Paolo Bertolani" per la poesia in dialetto nel 2023 ed il premio "Pascoli", nel settembre di quest'anno, ricevuto proprio per la raccolta Parôl d’sêl e d’mél (per una bio-bibliografia approfondita, consigliamo il sito internet personale dell'autore: www.neviospadoni.com).

Questa raccolta, che è una narrazione poetica, fluisce secondo un corso, quello dell’esistenzialismo di cui Nevio è grande conoscitore. La domanda che emerge dalla lettura delle liriche è: come possiamo affrontare quel Nichilismo che, seguendo il pensiero del filosofo Heidegger, pare essere dominante nel mondo di oggi?

La risposta, o una delle risposte, è nella poesia: attraverso la parola, l’autore fiuta la possibilità di indagare nell’interiore dell’individuo, scalfendo la scorza dura della vita: dolori, ricordi, preoccupazioni vengono attenuati e, a volte, leniti dalla poesia. Spadoni, che giunge a quest'antologia dopo un percorso fatto di indagini, scoperte e riscoperte, è un “archeologo” del verso perché riesce a far riaffiorare ricordi e profumi ormai soffocati dall’incedere vuoto del tempo di oggi. 


E fa ciò con il dialetto, la sua lingua-madre, quella che lo tiene legato alle proprie radici; il vernacolo, con la sua immediatezza e sfrontatezza, insieme alla musicalità e al lirismo, produce chiarezza, significato, ma lo fa in modo sobrio e senza inutili ricami. E’ la lingua della campagna, di un humus che ricollega tutti noi - anche se, spesso, lo dimentichiamo - “ad un dialogo incessante fra passato e presente, tra mondo d’origine e realtà in trasformazione”, come scrive Manuel Cohen nella prefazione al libro.

Le poesie di Parôl d’sêl e d’mél sono proprio questo: una riflessione sulla vita, a tratti cruda, a volte dolce e malinconica. Ma senza poesia, quel “tocco sinistro del presente” di cui parla Spadoni risuonerebbe insopportabile.



domenica 6 marzo 2022

ALLA SCOPERTA DELLE RADICI DELLA NOSTRA LINGUA

 Puntata n. 2


Carissimi,

quante volte vi avranno definito in questo modo: “Sei proprio un ghengo!”. Ma dove risale l’origine di questo termine, molto popolare nella Romagna ravennate, meno nel resto della “Provincia Romandìolae”?

Ghèngh”, cioè “fannullone”, è diffuso a Ravenna, Ville Unite, Russi, Fusignano ed Alfonsine e la sua etimologia è attribuibile, con ragionevole approssimazione, al tedesco “gagg/gang” e significa “viandante”. 



Qualcuno ha, con una punta di ironia, definito colui che viaggia come uno che non lavora: i romagnoli, quindi, avrebbero preso alla lettera queste parole, associando il “Ghèngh” al “girandolone”, ovvero “zirandlôn”, oppure allo “zingaro”, “e’ zèngan”, vale a dire un vagabondo dedito solo all’ozio.

 

Ad maiora!

mercoledì 2 marzo 2022

VINCENZO MONTI, UOMO DEL “SUO” TEMPO

 Tutti sono a conoscenza delle “vicissitudini critiche” di Vincenzo Monti, vissuto in un periodo storico travagliato e segnato da eventi politici profondi, quali la Rivoluzione francese, la Repubblica Cispadana, l’avvento di Napoleone, la Restaurazione messa in atto dalla Santa Alleanza dopo il Congresso di Vienna. L’uomo Monti – secondo quanto si legge in molte storie della letteratura – si piegò a tutti gli avvenimenti divenendone di volta in volta il cantore ufficiale. Da iperboliche esaltazioni si passa a condanne assolute e profondo disprezzo, forse perché nel giudizio delle sue opere si fonde, quando non è dominante, quello della sua vita. Chi lo definisce grande poeta, chi lo dice arcade vuoto e perduto (vale a dire sordo, arido e superfluo rimatore di suoni inesistenti), chi lo celebra come Pater Patriae (Padre della Patria), chi, infine, lo qualifica come strimpellatore. Vediamo, in sintesi, alcuni dei giudizi più celebri sul poeta alfonsinese.



“… Ma tutto quello che spetta all’anima, al fuoco, all’affetto, all’impeto vero e profondo, sia sublime, sia massimamente tenero, gli manca affatto. Egli è un poeta veramente dell’orecchio, del cuore in nessun modo” (Giacomo Leopardi).

“… La natura gli aveva largito le più alte qualità dell’artista: forza, grazia, affetto, armonia, facilità e brio di produzione. Aggiungi la più consumata abilità tecnica, un’assoluta padronanza della lingua e dell’elocuzione poetica. Ma erano forze vuote, macchine potenti prive d’impulso. Mancava la serietà di un contenuto profondamente meditato e sentito, mancava il carattere, che è l’impulso morale. Pure i suoi lavori, soprattutto l’Iliade (N.B. la traduzione del poema omerico da parte del Monti è, ancora oggi, considerata la versione migliore. E pensate che Monti non conosceva il greco! Forse anche per questo, Foscolo la definì “bella e infedele”), saranno sempre utili a studiarvi i misteri dell’arte e le finezze della elocuzione” (Francesco De Sanctis).

“… Il Monti fu un ingegno più vario che non il Metastasio, più pronto e ricco che non il Parini, più facile e vivo che l’Alfieri; seppe rinnovare quel che di usuale e di utile restava nelle consuetudini dell’arte italiana; seppe attingere con discernimento e con gusto alle letterature straniere (…) Fu in somma il maggior poeta ecletticamente artistico che l’Italia da gran tempo avesse avuto” (Giosuè Carducci, vincitore del Nobel per la Letteratura nel 1906).

“Beata la nazione che al cader di un suo figlio degno dell’immortalità, può proferire il detto dello Spartano: Io ho molti figli grandi com’egli fu. Beata la nazione che onora gli illustri perduti con l’educare altri illustri sulle loro tombe” (Giuseppe Mazzini).

Il Monti, però, non ebbe una tomba e le sue ceneri andarono disperse. Concludiamo questa parte non dimenticando la famosa quartina che Manzoni scrisse dopo la morte del Poeta:

Salve, o divino, a cui largì natura

Il cor di Dante e del suo duca il canto!

Questo fia il grido dell’età futura;

Ma l’età che fu tua te ‘l dice in pianto.


Ad maiora!

 

venerdì 31 dicembre 2021

ALLA SCOPERTA DELLE RADICI DELLA NOSTRA LINGUA

 Puntata n. 1


Carissimi,

rispolvero il motto del periodico bolognese di Stecchetti, “Il Matto”: “Il giornale uscirà quando crede: non più di una volta al giorno, non meno di una volta all’anno”. Perché, vi chiederete? Senza dubbio, uno dei motivi è che, pubblicando oggi questo testo, ho ragionevole certezza di non essere costretto ad uscire ancora nel 2021.

Bando alle ciance, o quasi, vi voglio raccontare la storia di un aggettivo della lingua romagnola, assai noto alle generazioni più mature, ma pressoché sconosciuto a quelle più verdi: “spagogn”.


Mi ritrovo molto in questo termine, forse perché, come dicevano i Latini, “nomen – omen”?

Comunque sia, “spagogn” significa “ritroso”, “indocile” ed è proprio di un carattere introverso, scontroso, spigoloso, poco socievole, infastidito dal contatto umano cercato a tutti i costi. La sua probabile etimologia deriverebbe dal latino” pagan(ic)us”, abitante del “pagus” (villaggio), perciò rustico e selvaggio. Un’altra possibile origine sarebbe “expacare” (spaventare), dove il suffisso –ogn ha valore attenuativo: un po’ spaventato, un po’ scontroso, quindi, come è nello stile del carattere dello “spagogn”.

Con questo, cari lettori, vi saluto, augurando a tutti noi un 2022 tranquillo.

Ad maiora!