Cari amici,
pubbichiamo ora il testo integrale dell'intervento da noi tenuto venerdì 13 gennaio alla serata nazionale del Liceo Classico, iniziativa che ha coinvolto ben 367 istituti liceali in tutta Italia. Nel nostro piccolo abbiamo voluto dare un contributo alla realizzazione dell'evento presso la scuola in cui volentieri lavoriamo, il Liceo "Ricci - Curbastro" con annessa sezione classica "Trisi - Graziani" di Lugo.
Buona lettura.
Definire Olindo Guerrini soltanto poeta
dialettale è certamente riduttivo e non rende merito ad un uomo di grande
cultura e formazione classica. Questa sera parleremo del rapporto fra Guerrini
e la bicicletta, ma prima ci piace, vista l'occasione in cui ci troviamo, fare
qualche breve cenno al patrimonio umanistico che Stecchetti, il nome in Parnaso
scelto dal poeta, porta con sé. Con l'affermarsi, nella seconda metà
dell'Ottocento, del positivismo come concezione del mondo e del naturalismo
come canone dell'arte, nascono in letteratura la scientificità, l'impersonalità
e l'impiego di un linguaggio parlato dimesso che attinge molte parole dal
dialetto e dall'uso quotidiano, per poter presentare, con realtà e schiettezza,
il parlare dei personaggi. Il termine realismo viene usato a significare
soprattutto gli aspetti sporchi e deformi della realtà ed il suo elemento di
maggiore incisività è l'efficacia dell'evocazione, di cui il francese
Baudelaire esprime la cifra simbolica più vera. In Italia non esiste un momento
di contemporaneità a Baudelaire, ma un prima e un dopo; ritroviamo in Guerrini
questo realismo baudelairiano e la capacità di cogliere l'aspetto sensuale
della vita rivestendolo di eleganti forme, divenendo così un poeta prediletto
dal pubblico. La critica, tuttavia, non è tenera con Guerrini (vedi Croce, che
lo taccia di oscenità), mentre Carducci, nel periodo bolognese, spiega che le
liriche di Guerrini non glorificavano la guerra civile, ma erano un'ispirazione
sociale, tradotta in versi per amore dell'arte. Entrambi i poeti alzano la
bandiera contro le putredini cattoliche e romantiche, legati entrambi alla
realtà storica in cui vivono e da cui traggono i loro ideali. Guerrini,
eccellente latinista, si distingue, al di là degli strali della critica (Croce
e Flora), per la grandezza con cui traduce e recupera gli immortali versi di
Catullo (Odi et amo), di Orazio (Odi, libro I, n. 11), di Baudelaire, Hugo, del
Leopardi dei Canti (in comune: l'abbandono della donna amata), di Byron e,
naturalmente, di Carducci.
Oggi, però, siamo qui per parlare della terra del poeta, di quella Romagna che,
a cavallo fra vecchio e nuovo, arretratezza e progresso, vive la grande fase
della bicicletta.
La Romagna è, nel periodo verista, un paese in ebollizione:
prorompono le idee socialiste, le lotte, gli scioperi e le masse iniziano
gradualmente a prendere coscienza della loro posizione. La bicicletta, o
bicyclula, come scrive nel suo poemetto del 1899 Luigi Graziani, a cui è
intitolato il nostro Liceo Classico, nasce come mezzo borghese, per pochi,
mentre la massa si deve arrangiare con i CÔSP (gli zoccoli) ai piedi, per poi
diventare quello strumento possente, veloce ed agile che permetterà anche ai
più umili di buttarsi a capofitto nel secolo breve, il '900. Dell'amore per la
bicicletta da parte di Olindo Guerrini troviamo espressione in molte parti
delle sue poesie, soprattutto in quella che oggi pare la più schietta e
genuina, i Sonetti romagnoli, tra l'altro editi postumi dal figlio Guido. I
Sonetti, nati senza uno schema prefissato, tratteggiano personaggi tipici della
Ravenna di fine 800, le osterie, la forte carica anticlericale e un ciclo di
poesie, denominate "E' viazz", in cui il poeta compie la descrizione
del suo giro d'Italia in bicicletta , a cavallo fra la fine dell'800 e l'inizio
del XX^ secolo: da Ravenna al Monte Rosa e poi, attraversando tutto il Nord del
Paese, fino a Trieste e infine il ritorno a Ravenna. La bicicletta, quindi, non
è soltanto un mezzo di locomozione, ma rappresenta l'ingresso del ceto medio-basso
nel mondo moderno, il lasciapassare verso luoghi, angoli, realtà ancora
sconosciuti. Guerrini sa cogliere i dettagli di questo cambiamento e li traduce
in un linguaggio diretto e ricco, allo stesso tempo, di ricercatezza e sagacia.
Di qui la scelta del dialetto che, nei primi anni del Novecento, è oggetto di
aspre polemiche fra i linguisti; Guerrini sa coglierne il ruolo fondamentale
per la sua espressività, perché più vivo dell'italiano, ha una su struttura,
una sua dinamica interna e subisce trasformazioni notevoli che vanno di pari
passo con l'evoluzione del mondo culturale che rappresenta, senza lirismi e
slanci voluttuosi, ma in modo pratico e misurato. Per chiudere il nostro
intervento, ci fa piacere leggere uno dei 51 sonetti de "E' viazz",
intitolato "Bulogna", visitata dal poeta e dai suoi amici non per San
Petronio o le due Torri, come farebbero tutti, ma per un altro motivo, per dir
così, più appetitoso...
BULOGNA
Donca, par fela curta, una matena
Int'e' fe d'l'elba, quand ch'e' canta e' gall,
As lassessom Ravenna dri dal spall
E vi, d'batuda, par la strè Fantena.
E vers a San Michil, dri da la schena
E' sol a poch a poch e' dvinté zall,
E zo pr'e' God e par Bagnacaval,
Par Lug e par la Massa e par Midsena.
Ecco Bologna! Finalment ai sè! Ecco al mura, la porta, i tram e tott...
«Gnente di dazio?» - Un cazz! - Hoia dett ben?
Al do Torr? San Petroni? Chi s'n'infott!
Nò a curessom ai Quattar Piligren
A magnè al parpadell cun e' parsott.
Ad maiora!